Renzi non rottama Napolitano
Dal "patriottismo costituzionale" al "patriottismo presidenziale". Questa sembra la conclusione di quanti elogiano il ruolo di "supplenza" della politica assunto, negli ultimi tempi, con sempre maggiore forza e con sempre più frequenti manifestazioni, dal capo dello Stato. Non a caso, dalle colonne del quotidiano di via Solferino, Ernesto Galli della Loggia ha parlato esplicitamente di Giorgio Napolitano come "figura di riferimento" del "nuovo patriottismo italiano" e, per converso, ha sottolineato come "la presidenza della Repubblica, già con Ciampi e poi adesso ancora di più con Napolitano" abbia cominciato a "trovare nel patriottismo la sua propria ideologia di riferimento". D’altro canto l’ipotesi, prospettata nei giorni scorsi da Rino Formica e definita da Eugenio Macaluso "una impossibile possibilità" - quella ipotesi analizzata con finezza ieri dal nostro Francesco Damato - si muove, a ben vedere, in questa stessa direzione. Rappresenta il tentativo di dare sostanza teorica e copertura ideologica a un disegno di restaurazione del passato camuffato con la sottolineatura degli aspetti di novità che avrebbero caratterizzato la prassi adottata dalle due ultime presidenze in tema di ridefinizione e ampliamento di fatto dei poteri del capo dello Stato. Ho detto copertura ideologica, e lo ripeto. Il richiamo al "patriottismo costituzionale" equivale a ribadire la legittimazione di una carta costituzionale nata all’insegna di un vero e proprio compromesso ideologico, politico e culturale all’indomani della seconda guerra mondiale ormai, in molti punti, invecchiata, in altri inattuata, e, comunque, sempre più inadatta a rispondere alle sfide di una società e, più in generale, di un mondo postideologici. Trasformare il patriottismo in "ideologia di riferimento" del presidente della Repubblica, oltre che della Costituzione, significa cristallizzare un concetto, quello appunto di patriottismo, che dovrebbe essere il punto di decantazione della coscienza etico-politica di un paese. La nazione, diceva il grande storico Ernst Renan - e la sua osservazione può ben essere trasferita al concetto di patriottismo -, è un "plebiscito di ogni giorno". Tutto il contrario, insomma, di quanto esprime la formula del "patriottismo costituzionale". Che sia in atto una metamorfosi della figura, ma anche del ruolo e dei poteri, del capo dello Stato nessuno può negare. L’interventismo del presidente della Repubblica è un dato di fatto al punto che - fra esternazioni e richiami, tra ammonimenti e velate minacce di non controfirmare, fra suggerimenti e pressioni dirette in fasi delicate dei processi di formulazione dei provvedimenti legislativi - si ha l’impressione che sia stata imboccata la strada per creare, in maniera surrettizia, una repubblica presidenziale. Il che, sia detto per inciso, non sarebbe affatto un male se a tale meta si giungesse attraverso un processo di revisione costituzionale, vero e proprio e quale che sia. Ha ragione, Galli della Loggia, quando sostiene che il presidente della Repubblica è diventato "il dominus effettivo della scena politica del paese". Lo è diventato grazie all’eclissi della politica, alla scomparsa dei partiti tradizionali, all’imbarbarimento del clima generale nonché alla trasformazione effettiva del sistema politico nel suo complesso. Una trasformazione profonda della quale il bipolarismo, per quanto imperfetto, è il risultato più eclatante e, vorrei dire, la conquista più significativa, ormai radicata nel profondo della coscienza del paese. Ma una trasformazione del genere, nata sulla spinta della volontà popolare all’inizio degli anni novanta, ha determinato la necessità di una metamorfosi di fatto delle prerogative, del ruolo, dei poteri anche del presidente del Consiglio e non solo di quelli del capo dello Stato. In altre parole, si è creata una situazione di conflittualità, più o meno latente, tra il vecchio e il nuovo pronta a esplodere ad ogni occasione di contrasto. Il nodo della questione italiana sta tutto qui, nella necessità di prendere atto dell’esistenza del bisogno di procedere a una riforma totale e organica dell’architettura dello Stato e a una ridefinizione delle prerogative e dei poteri degli organi costituzionali. Al di là e al di fuori di ogni richiamo al "patriottismo costituzionale" o, peggio, al "patriottismo presidenziale". In questo quadro, la proposta di Formica appare come una proposta "gerontocratica". Ed essa lo è, si badi bene, "gerontocratica", non con riferimento all'età del capo dello Stato quanto piuttosto al suo significato squisitamente politico di cristallizzazione di una situazione di fatto basata sul mito della intangibilità di una carta costituzionale vecchia ed obsoleta e supportata dalla copertura ideologica del "patriottismo costituzionale". Oltre che, diciamolo pure senza mezze parole, sulla nostalgia per un sistema politico messo in crisi dalle sfide di una società deideologizzata. Il presidente Napolitano è un politico troppo fine e consumato per non rendersi conto di ciò. Ed è, pure, troppo fine e consumato politico per non rendersi conto che anche il disegno di chi vorrebbe fare di lui il padre nobile o la guida di un nuovo schieramento di centro-sinistra è anch’esso un progetto, diciamo così, "gerontocratico". Perché il futuro del centro-sinistra non è legato, tanto, agli uomini quanto piuttosto alla capacità, dopo aver fatto davvero i conti con il passato, di accettare il nuovo. E confrontarsi con esso.