Tra guerra e battaglia

Una delle poche cose su cui ha ragione la sinistra anti-Cav è la seguente: «Berlusconi è un’anomalia». Lo è di certo, solo che l’analisi che gli avversari offrono dell’uomo e del fenomeno del berlusconismo è totalmente insufficiente e sbagliata per comprenderlo, affrontarlo e batterlo non in maniera estemporanea - cosa già successa due volte - ma permanente. Berlusconi è un aspetto profondo del carattere del Paese, la sua storia è una sorta di «biografia della nazione» e ridurlo a un semplice leader da abbattere e non invece da battere sul piano delle idee e della politica è un errore. La sinistra spera in uno stop del Cavaliere a Milano per narrare al suo popolo la storia di un declino che invece è ancora un’ipotesi poco più che scolastica. Eliminando Berlusconi non si archivia anche il «berlusconismo». Siamo nel campo delle illusioni. Questo fenomeno non è conseguente al passaggio del Signor B., ma precedente. È un carattere del Paese che viene fuori a ondate. Questa primitiva analisi delle opposizioni, alimentata dalla penna degli intellettuali progressisti, conduce a due esiti. Il primo è che se la Moratti a Milano non passa al primo turno il centrosinistra crederà di poter accantonare i suoi problemi e cominciare una trionfale cavalcata verso la vittoria alle elezioni politiche. Il secondo esito è che se il Cavaliere invece prende la città ambrosiana al primo turno e mette a segno un altro paio di imprese, per la sinistra si apre una crisi nera, profondissima, che rischia di mandarla al tappeto per altri dieci anni. Conclusione strategica. Nel primo caso Berlusconi perde una battaglia, ma nel secondo vince la guerra.