Voto locale? No, nazionale
L’Italia ha un sistema istituzionale che non prevede elezioni di medio-termine come negli Stati Uniti. Ma di volta in volta il voto amministrativo ne ha assunto le sembianze. Per cui, giusto o sbagliato, il voto di Milano e delle altre città italiane diventa un test per la maggioranza. Lo stesso Berlusconi ha trasformato l’appuntamento locale in nazionale, il voto amministrativo in politico. Il Cavaliere ha scelto di alzare l’asticella del confronto con l'opposizione e l'ha fatto sulla base di un preciso calcolo politico: siamo in una fase di voto europeo che punisce chi governa, devo provare a mobilitare il mio elettorato, faccia campagna come se fossimo alla prova definitiva per la mia coalizione e per il governo. È una strategia coerente con il personaggio - funambolico e pieno di energia - e il quadro politico. Più che i problemi giudiziari del Cav in questo voto peseranno la situazione economica ancora incerta, i non pochi dissidi interni alla maggioranza e delle candidature meno efficaci di quanto lo sia invece il «brand» Berlusconi, un marchio che tira ancora al mercato della politica, ma in qualche caso potrebbe anche non bastare. Il caso di Milano in questo senso mi sembra esemplare. Negli ultimi giorni ho analizzato con attenzione quello che è accaduto in una campagna elettorale a tratti bizzarra. Il sindaco uscente, Letizia Moratti, non ha il carisma politico di un leader di prima grandezza e, inoltre, ha pagato la sua algida presenza, il suo distacco dal gruppo consiliare del Pdl, la sua difficoltà a sintonizzarsi con i cittadini. Tutto questo è sufficiente per rovesciare il quadro politico di Milano? Non credo, ma certo potrebbe succedere che per una manciata di voti la Moratti non passa il primo turno e va al ballottaggio. Questo sì che sarebbe un problema. Non tanto per la conquista di Milano - che avverrebbe comunque al secondo turno - ma per l'equilibrio dei rapporti nel centrodestra tra Pdl e Lega e soprattutto per la stella del Cavaliere che per la prima volta subirebbe uno stop a casa sua, nella Milano del Biscione, patria del berlusconismo. Un evento simile verrebbe caricato di un simbolismo enorme, perfino eccessivo. E non solo dalle opposizioni. Ma è inutile parlarne ora, tra 48 ore avremo la risposta e vedremo se la città del Duomo volta le spalle a Silvio. Quel che bisogna tracciare qui è invece il quadro ideale dal quale far partire l'analisi politica post-voto. Qual è il risultato perfetto per il centrodestra? Conquistare Milano al primo turno, strappare Napoli al centrosinistra e andare al ballottaggio a Bologna o a Torino. Questo sarebbe un colpo imparabile per il centrosinistra che si avviterebbe ulteriormente su se stesso. Il Pd in particolare avrebbe serissimi problemi e la segreteria di Pierluigi Bersani sarebbe davvero a rischio. Al di sotto di questo risultato c'è il gioco delle bandierine e del peso delle città perse e conquistate. Un esempio per tutti: Latina, roccaforte della destra, città fondata da Mussolini, è nell'immaginario collettivo un fortino inespugnabile. Ma il centrodestra qui ha pasticciato (e litigato) alla grande. Una sconfitta sarebbe un affare serio, da pedata nel sedere ai responsabili di tale miseria elettorale. Vedremo. Nel caso, suggeriremo noi a Berlusconi che tipo di scarpa usare per la bisogna. Appena chiuse le urne e sfornati i primi dati attendibili i lettori vedranno fin dai primi commenti la proiezione di un quadro nazionale su un voto localissimo e influenzato da mille fattori che ben poco hanno a che fare con il governo e il Parlamento. Si aprirà o la partita del dopo-Berlusconi o quella di un Silvio piglia-tutto che progetta il suo sbarco al Quirinale. Bianco o nero. Con gradazioni di grigio nel caso di un risultato intermedio. Ci sarà in ogni caso da divertirsi. Pane per noi che amiamo la cronaca politica. È stata una campagna elettorale con una coda finale molto dura. Me lo aspettavo. Gli ultimi due anni sono stati incredibili sul piano degli attacchi personali, degli scambi di colpi sotto la cintola. Forse Berlusconi non si è risparmiato nulla, ma di certo non gli è stato risparmiato nulla. Quelli che oggi si stracciano le vesti per una scomposta e maldestra uscita della Moratti su Pisapia dovrebbero farsi un bell'esame di coscienza. Abbiamo invece scoperto, ancora una volta, il fenomeno di rimozione del suo ingombrante passato da parte della sinistra. Pisapia ha fatto di tutto per non parlare delle sue frequentazioni giovanili negli ambienti del terrorismo, del suo pensiero rivoluzionario, radicale, delle sue idee tutt'altro che liberali, vicine a Mosca e non a Londra. Roba da Cremlino e non Westminster. Altro che ladruncolo d'auto che non è mai stato. In nessun confronto televisivo o giornalone dell'intellighentsia tricolore questo passato è emerso. Era un elemento chiave per capire cosa c'è dietro un candidato. Invece no. Se il fortunato in lista è di sinistra, borghese con il mocassino giusto, il maglioncino regolare e il passaporto con molti timbri esotici, allora tranquilli, perché Egli è immacolato a prescindere. Frequentava terroristi che usavano accoppare l'avversario? Leggerezze e svaghi giovanili. Tutto si perdona a chi ha in testa il Progresso. Non se ne parla. E poi, che volete farci, lo screening del cervello, del capello, il controllo sopra e sotto le lenzuola e la valutazione del colore delle mutande è riservato solo a quei puzzoni della destra, con aggiunta di inquisizione tribunalizia per quelli di stretta osservanza berlusconiana. Questa è malafede, doppiopesismo, conformismo culturale. Questo, cari lettori, è il peggior cocktail per ubriacare la democrazia, altro che le barzellette scosciate del Cav.