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«Schengen non si tocca salvo eccezioni»

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Anchese, in certi casi di crisi «molto limitati» creati dai flussi migratori i controlli alle frontiere possono tornare. Intorno a questo principio si è coagulata l'unanimità tra i 27 ministri europei riuniti ieri a Bruxelles nel Consiglio straordinario interni della Ue convocato per l'emergenza immigrazione. Peraltro, resta l'insoddisfazione italiana al cospetto di un'Europa «poco concreta» e «poco tempestiva». In compenso, sui principi, anche il ministro Maroni si è detto pienamente d'accordo: «Ho citato le parole di Barroso, il documento della Commissione è pienamente condivisibile». Nel documento si prevede il rafforzamento di Frontex per controllare davvero le frontiere esterne, accordi con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo, una politica d'asilo e di visti comune. Il «consenso trovato» sul rafforzamento della governance di Schengen lo ha annunciato la presidenza di turno ed è stato il risultato principale della riunione, cominciata con lo spettro che tutto finisse in frantumi visto l'annuncio fatto la sera prima dalla Danimarca, il cui governo (per avere l'appoggio esterno del partito di estrema destra Pdp) farà ripartire i controlli aprendo la breccia per il ritorno delle frontiere nazionali. Dal canto suo, il ministro dell'immigrazione danese, Soren Pind, ha cercato di rassicurare, spiegando che «Schengen non è in discussione». Che si tratterà solo di «controlli doganali» per contrastare criminalità, traffico di armi e di esseri umani. Ha sostenuto che la scelta del suo governo non è stata una concessione al «populismo, ma democrazia al lavoro». Il dubbio lo ha espresso il ministro francese Claude Gueant: «Speriamo che il futuro non lo smentisca». Anche il ministro Maroni ha dato il consenso alle idee dell'Europa, ma lo ha fatto ribadendo le sue perplessità: «L'Ue ha buone intenzioni, quello che manca è la concretezza». Nell'affermarlo ha ricordato come fosse passato un mese dalla riunione in Lussemburgo, quando si era deciso che partissero i pattugliamenti congiunti del Frontex con le autorità tunisine. «Invece oggi (ieri, ndr) abbiamo appreso che il Cda dell'agenzia si riunirà il 24 maggio per decidere cosa fare». Nel frattempo, ha rivendicato il ministro, l'Italia «non è rimasta con le mani in mano», «ha salvato vite umane» ed ha lavorato «per tutti gli stati membri». Insomma, se un mese fa aveva lasciato la riunione con un inedito «meglio soli che male accompagnati» ieri ha punto con un «in un mese non è cambiato granché». Sana ironia, ma riproposizione urgente del problema. Il punto sul quale l'accordo in Europa è ancora da trovare (e, se lo si troverà, la decisione sarà presa e varata solo dal Consiglio europeo dei leader del 24 giugno) è il metodo per definire i casi estremi e per evitare «le decisioni unilaterali» che possono mettere davvero in pericolo Schengen come è successo nell'ultimo mese. C'è stata convergenza sul fatto che sia la Commissione a fissare i criteri e Bruxelles punta ad avere un ruolo centrale anche nella valutazione delle crisi. Germania e Austria sono contrarie. E la Francia ha detto di puntare a riunioni ad hoc dei consigli dei ministri degli interni. In ogni caso una revisione del Codice delle Frontiere attuale, se sarà necessaria, avrà bisogno del Parlamento europeo attraverso un suo preciso avallo. Mar. Coll.

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