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Non toccate le fontane

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d'artagnan fontana

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Ottorino Respighi ci aveva ricamato attorno la musica. «Le fontane di Roma» nella sua sinfonia sono quattro: quelle di Valle Giulia e di Villa Medici, quella delle Naiadi, la fontana di Trevi. Le note danzano come zampilli, il bello per gli occhi diventa bello per le orecchie. Era l'inizio del Novecento. Ma anche fino a 50 anni fa l'acqua incorniciata dal travertino barocco, dai riccioli rococò, dai marmi trovati nelle ville degli antichi romani era simbolo della caput mundi. Accanto al Colosseo, a Trinità de' Monti, ai pini. Anita Ekberg nella vasca ideata da Nicola Salvi è una divinità del Novecento e Marcello a ragione resta impietrito. Lei pure. Sospesi nel silenzio. Stregati dal gorgoglio degli zampilli, dal genius loci. Che fine ha fatto questa sacralità del bello e dell'antico? E il rispetto della storia scivolata sulla pietra, della mano sapiente dello scalpellino, della mente larga dell'architetto? La Roma che ci sta di fronte non lo sa. Non lo vuole sapere. Ha sotterrato lo spirito verace, la battuta salace, la schiettezza. Li ha soffocati nel becerume. Alla chioma bionda di Anitona ora si è sostituita la panza segnata da tagliacci e gonfia di bucatini del razziatore di monetine. Chiamarlo D'Artagnan è un'offesa a Dumas. Ieri l'hanno arrestato mentre s'arrampicava sulle statue di Palazzo Poli. In quella piazza ridotta a carnaio. Dove le scarpe scricchiolano sul tappeto di patatine e corn flakes seminati dalle truppe straniere in ciabatte e canottiera. Meglio scappare, non si capisce più la magia di natura e architettura che nel Seicento Bernini e gli altri grandi inseguivano per «maravigliare». Invece, chissenefrega delle leggiadre vasche capitoline. Servono a tutto, meno che a estasiare. Buone per fare finta ideologia e allora il «futurista» Cecchini ne combina un'altra. Tinge tricolore la Fontana delle Naiadi, in un altro snodo di culto, che evoca i Barberini. Ripete la bravata di cinque anni fa nella solita «martire» fontana di Trevi. Non l'hanno punito abbastanza, non ha capito che la sua non è arte ma vigliaccata. Altrove si fa bivacco da ubriachi. E si stacca un pezzo della fontana di piazza Navona, un altro della Barcaccia. Se fa caldo le fontane di Roma diventano bidet per il piediluvio, doccia per le teste calde. Il gioco cafone è così sfrenato che anche personaggio pubblico non si fa scrupoli. Delio Rossi in mutande scavalca il bordo del Fontanone al Gianicolo e giù, a rinfrescarsi le pudenda. Immemori e incuranti della propria identità. Allora, meglio di questo perenne scempio, il pragmatismo di Diderot. Quando sospirava: beati gli antichi, ché non avevano antichità.

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