E' un attacco al ceto medio
«Chi fa politica a sinistra oggi dovrebbe leggere un testo di Antonio Giolitti che definisce l'alternativa come credibile, affidabile, praticabile. Credibile, nel senso di avere capacità di governo; affidabile, nel senso di togliersi il sospetto di volersi insediare al potere come alternativa senza alternativa. E praticabile, nel senso di avere realistici obiettivi da raggiungere e realizzare con gradualità». Parole di Giorgio Napolitano, pronunciate il 4 maggio alla commemorazione di Antonio Giolitti. Un'occasione ed un contesto che potevano prestarsi ad una celebrazione conformista da sinistra etica che resiste tuttora in certe penne impettite, in certi talk show in cui domina il politicamente corretto (tranne quando si parla del Cavaliere). Al contrario, confermandosi l'unico vero leader di cui disponga la sinistra odierna, ed una delle sue poche menti riformiste, il capo dello Stato, che ha attraversato l'intera storia del vecchio Pci della guerra fredda e se parla a quel mondo non lo fa mai a caso, ha nuovamente spiazzato tutti. Invitando a guardare non ai cimeli del passato, ma alle scomode verità del presente. Che richiedono a suo avviso per la sinistra una terapia d'urgenza, un reset di uomini, programmi e strategie, visto come ha concluso l'intervento: «L'alternativa la si immagina così oppure si resta all'opposizione». Ovviamente tutti si sono precipitati a dargli ragione, a cominciare da quegli stessi dirigenti a cui Napolitano ha indirizzato un richiamo tanto semplice da comprendere quando ruvido nei contenuti. Anche Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil che ieri ha celebrato il quarto sciopero generale dall'insediamento del governo Berlusconi, a Napoli ha esordito con un plauso a Napolitano. Peccato che poi abbia tratto queste conclusioni: «Serve subito una riforma fiscale che sposti il peso sulle rendite e sui grandi patrimoni». Eccola: la solita tentazione della patrimoniale che sempre riaffiora nel Pd e dintorni, nonostante le smentite. La Camusso l'ha inserita in un «progetto Paese che abbia come priorità di dar lavoro ai giovani». Certo: chi crede ideologicamente al valore salvifico della tassa sui patrimoni la considera la via maestra per tutte le direzioni. Come si può negare che si debba dar lavoro ai giovani? Il problema è se la patrimoniale risolva il problema, o invece non lo aggravi. Vediamo come al solito i dati concreti, e che cosa davvero bolle nella pentola di quella sinistra che Napolitano vorrebbe credibile, affidabile e praticabile. Di patrimoniale si era parlato molto a dicembre 2010. Con terapie shock come quelle di Giuliano Amato: un prelievo in due anni pari ad un terzo del debito pubblico, cioè 560 miliardi, a carico «del 30 per cento dei più abbienti». E poiché in base agli ultimi dati del fisco i contribuenti italiani sono meno di 42 milioni, a spartirsi l'onere del prelievo sarebbero in 14 milioni. Andando a vedere il numero di contribuenti per ogni fascia di reddito scopriamo che gli esentati dalla patrimoniale (28 milioni) risulterebbero coloro che dichiarano fino a 21 mila euro l'anno. Tutti gli altri, gli «abbienti», concentrati particolarmente nelle fasce tra 21 e 25 mila euro e tra 29 e 35 mila – ricchissimi, insomma – dovrebbero nella visione amatiana tirar fuori un terzo del debito dello Stato. Poi è stata la volta di Pellegrino Capaldo, ex banchiere ed economista della sinistra dc, che ha proposto pari pari una patrimoniale da 900 miliardi (metà del debito) da ottenere tassando al 12,5 per cento la rivalutazione degli immobili, indipendentemente dal reddito. E siccome l'87 per cento della famiglie italiane ha un'abitazione di proprietà (che si è comprata, mica rubata), ecco la nuova tassa sul macinato. Non solo. Capaldo ha proposto anche una variante per rastrellare i quattrini subito: una maxi-ipoteca su tutti gli immobili. Il popolo più risparmioso e meno indebitato del mondo – fatto che ha consentito di far valere in sede europea la sostenibilità dei nostri conti risparmiandoci sanzioni in salsa greca – diverrebbe automaticamente il più ipotecato. Ma qui siamo ancora tra i cani sciolti. Allora andiamo a vedere intorno a che cosa si sta lavorando in casa Pd. Di ottobre 2010 è il documento «Prospettive di riforma fiscale in Italia», opera di un gruppo di tecnici e politici di area. Tra i «partecipanti ai lavori sistematici e i saltuari» (citiamo testualmente) figurano l'ex ministro Vincenzo Visco, l'attuale responsabile economico Stefano Fassina, habituè della tv come Salvatore Biasco, Massimo Bordignon, Alberto Zanardi. Le proposte: aumento dal 12,5 al 20 per cento della tassa sulle rendite finanziarie esclusi i titoli di Stato; tassa dello 0,5 per cento sul patrimonio immobiliare; ripristino dell'Ici sulla prima casa. Totale, 43-44 miliardi di prelievo, ogni anno. In cambio, riduzione dal 20 al 23 per cento della prima aliquota Irpef e dal 38 al 36 della terza. Il documento propone poi una tassa «sulle grandi fortune», cioè oltre 800 mila euro, immobili inclusi. Più o meno è quanto proposto il 22 gennaio 2011 da Walter Veltroni al Lingotto di Torino, per celebrare il famoso discorso del 2007 e lanciare il progetto Modem. A questo punto, alzatasi una terribile puzza di bruciato e resosi conto dell'effetto boomerang, lo stato maggiore democratico è corso a negare di aver mai pensato a patrimoniali o simili. Ne è così nato il «Progetto alternativo per la crescita», datato aprile 2011 e stavolta con il sigillo del partito. Le proposte: aumento al 20 per cento della tassa sulle rendite finanziarie, eventuale reintroduzione dell'Ici, riduzione al 20 per cento della prima aliquota Irpef. La patrimoniale appare e scompare: perché quelle che si continuano a chiamare «rendite finanziarie», con un'immagine alla Gordon Gekko, la Banca d'Italia le censisce invece come «Ricchezza delle famiglie italiane», stimandole nell'ultimo documento di dicembre 2010 pari a 3.500 miliardi di euro, tre volte il Pil. Una massa enorme e, nota via Nazionale, spalmata su pressoché tutti gli strati sociali. E che, assieme al patrimonio immobiliare (5.850 miliardi) costituisce il più potente ammortizzatore sociale del Paese, nonché la vera polizza d'assicurazione sulle future generazioni. Oltre a «sostenere» il debito pubblico a Bruxelles. Ecco perché dietro la politicamente corretta «tassa sulle rendite» si cela una patrimonialina comunque non lieve, da 9 miliardi l'anno. Mentre l'esclusione dei titoli di Stato «per tutelare i piccoli risparmiatori» appare una foglia di fico: nei portafogli delle famiglie, sempre secondo Bankitalia, sono appena 180 miliardi. In compenso c'è la riduzione di tre punti della prima aliquota Irpef, e, stavolta come auspicio, anche della terza aliquota, quella del 38 per cento. Già, ma chi aveva modificato queste aliquote? La prima, quella del 23 per cento, con la riforma del precedente governo Berlusconi gravava sui redditi fino a 26 mila euro. Nel 2007 Romano Prodi e Visco l'hanno divisa in due: 23 per cento fino a 15 mila euro e 27 per cento da 15 mila a 28 mila euro. Quanto alle aliquote intermedie, il Cavaliere e Giulio Tremonti ne avevano fissate una del 33 per cento sui redditi da 26 a 33.500 euro, ed una del 39 su quelli da 33.500 a 100 mila euro. Prodi & Visco le hanno rimpiazzate con tre aliquote: del 38 per cento da 28 a 55 mila euro, del 41 per cento da 55 a 75 mila euro, del 43 per cento oltre i 75 mila. Giudicate voi la coerenza di chi oggi reclama la riduzione delle imposte dirette. Ed oggi vorrebbe far marcia indietro; in cambio, però, di una patrimoniale. O più di una. «Per dare lavoro ai giovani» dice Susanna Camusso. Bene: ieri il governo ha fatto di necessità virtù assumendo in pianta stabile 65 mila precari nella scuola, per evitare guai maggiori dopo che il Tribunale di Genova aveva stabilito un risarcimento di mezzo milione di euro a testa per 15 di loro. Domanda: quando l'Ulivo e l'Unione aumentavano le tasse, questi precari erano per caso meno precari? Torniamo alla sinistra che vagheggia Napolitano: credibile, affidabile, praticabile. Ce n'è di strada da percorrere