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E il Pd comincia ad avere paura

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Paroledure che i Democratici avevano accolto in silenzio. Dopotutto erano settimane che all'interno del principale partito dell'opposizione gli interventi del Capo dello Stato venivano accolti con un certo fastidio. Tanto che, in maniera più o meno ufficiale, il Colle era diventato oggetto di «fuoco amico». Un assedio che Napolitano aveva deciso di rompere puntando il dito contro l'inconsistenza dell'opposizione. Così, ora che il presidente della Repubblica ha preso di mira il governo, le reazioni all'interno del Pd non vanno oltre «l'istituzionalmente corretto». Per il segretario Pier Luigi Bersani «il presidente della Repubblica ha detto cose che ognuno può vedere. Ognuno può rendersi conto che non è più la maggioranza che ha vinto le elezioni: è inutile che Berlusconi racconti altro». «Detto questo - prosegue - adesso i presidenti di Camera e Senato, insieme al presidente del Consiglio, dovranno fare le loro valutazioni ma quello che è chiaro è che non c'è più la maggioranza uscita dalle elezioni. C'è stato un rabberciamento in questa maggioranza attraverso un sistema, diciamolo tra virgolette, di compravendita. Mettiamolo tra virgolette ma siamo molto prossimi alla verità». Bersani prende poi di mira il decreto sullo sviluppo recentemente varato dal governo che «ha sviluppato molti sottosegretari. Credo che sarà la norma più efficace inserita nel provvedimento». Anche il presidente del parito e vicepresidente della Camera Rosy Bindi si limita ad unn laconico «mi pare abbia ragione il presidente Napolitano», mentre il capogruppo del Pd al Senato Anna Finocchiaro spiega: «Mi sembra un gesto di trasparenza politica che restituisce al Parlamento la sua dignità e centralità. È necessario permettere alle Camere di conoscere la conformazione politica della nuova maggioranza perché Montecitorio e Palazzo Madama non sono il luogo della compravendita». Insomma i Democratici non esultano per le parole del Capo dello Stato. Anche perché c'è poco da esultare. Il richiamo del Colle può dare alla maggioranza la possibilità di vincere l'ennesima prova di forza. Tra l'altro immediatamente dopo le elezioni amministrative. In ogni caso ora la partita di sposta nelle conferenze dei capigruppo dei due rami del Parlamento. In linea teorica non c'è bisogno di un voto di fiducia (lo ha spiegato anche Gianfranco Fini) visto che l'unico obbligo del presidente del Consiglio dopo la nomina di sottosegretari è quello di darne comunicazione per lettera ai presidenti delle Camera. La lettera viene letta all'Assemblea nella prima seduta successiva alla nomina, senza che su di essa ci siano discussione o voti: tecnicamente, questa fase viene definita nel resoconto stenografico come un «annunzio». L'opposizione, però, potrebbe cercare di mettere in difficoltà la maggioranza presentando una mozione su cui richiedere il voto dell'Aula. Toccherà quindi alla capigruppo decidere se e quando calendarizzare la mozione. Ma in questo caso sarà decisivo l'atteggiamento della maggioranza che, se vorrà, potrà bloccarla. Nic. Imb.

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