Tutti spiazzati dal Colle
Giorgio Napolitano, che dietro la severità del ruolo e delle foto ufficiali, nasconde anche le qualità di un uomo spiritoso, sia pure di un umorismo più britannico che partenopeo, se la starà ridendo della confusione che è riuscito, volente o nolente, a creare nei partiti e nei giornali con la sua reazione alla nomina dei nuovi nove sottosegretari. Se la starà ridendo per avere scombinato con poche righe dattiloscritte molto di ciò che si era detto e scritto di lui, a sinistra e a destra, sino ad un attimo prima. Eduardo De Filippo, la sua grande passione teatrale, ci avrebbe forse ricavato una bella commedia, intitolandola magari «Una risata sul Colle». «Perché la voce dell'opposizione non si è levata per chiedere ciò che al Presidente appare indispensabile?», chiedeva ieri in prima pagina il giornale di sinistra più strillato d'Italia, Il Fatto Quotidiano, condividendo la opportunità avvertita dal capo dello Stato di certificare in sede parlamentare, in modo evidentemente più chiaro e vincolante di quanto non sia già accaduto, i cambiamenti intervenuti nella maggioranza di governo a tre anni di distanza dalle ultime elezioni politiche. Eppure si tratta dello stesso giornale che aveva pochi giorni prima duramente accusato Napolitano di avere tentato di mettere una vergognosa mordacchia al principale partito d'opposizione, il Pd, nel dibattito svoltosi alla Camera sulla partecipazione italiana ai bombardamenti della Nato in Libia. Sembra quindi che al capo dello Stato sia bastato poco, anzi pochissimo, una specie di strizzatina d'occhio ad un altro dibattito, questa volta sulla nomina dei sottosegretari, e forse con tanto di votazione finale di fiducia, per riguadagnarsi l'ammirazione del severissimo guardiano di carta dell'opposizione, e riottenere i galloni di ammiraglio della flotta antigovernativa. Che sono poi gli stessi riconferitigli da quei giornali di tutt'altro segno e linea che con titoli di scatola hanno accusato Napolitano, «il comunista», di fare «opposizione da solo» o di «sgambettare» il governo, e via discorrendo: titoli che avranno mandato in brodo di giuggiole la direttrice rigorosamente antiberlusconiana dell'Unità, Concita De Gregorio. Il cui articolo di commento all'iniziativa assunta dal presidente della Repubblica cominciava ieri così, prendendo beffardamente in prestito parole e concetti dalla tifoseria del Cavaliere: «Meno male che Napolitano c'è». Napolitano, non Giorgio: solo quei villanzoni di destra possono chiamare Silvio il loro Cavaliere, preferendo il nome al cognome. Certa sinistra, si sa, in queste cose cerca di darsi del tono, anche a costo di cadere, anzi di rimanere ben sommersa nel ridicolo. Essa pensa di dover lasciare agli avversari il disdoro, diciamo così, di una concezione trasgressiva o intimistica dei rapporti politici o personali. Pensate un po' come ci rimarrebbero male da quelle parti, che secchiata d'acqua gelata cadrebbe addosso ai loro giornali, ai loro leader veri o presunti, e ai loro militanti, se il capitolo appena aperto dal Quirinale si rivelasse destinato ad uno sviluppo del tutto opposto a quello immaginato, favorevole cioé, e non contrario, alla maggioranza di governo. Delle cui prime reazioni negative il direttore de Il Tempo Mario Sechi ha giustamente avvertito, e denunciato subito, il carattere troppo frettoloso, o addirittura avventato, scevre da un'analisi ragionevole e ragionata. Che meritava e merita invece l'iniziativa di un uomo di grande esperienza politica e istituzionale quale sicuramente è il presidente della Repubblica. Del quale tutto si può francamente dire, anche quando se ne dissente, come ci è capitato più volte, ma non che sia incline a improvvisazioni. Napolitano sa bene, fra l'altro, che una certificazione parlamentare della nuova maggioranza, scaturita non da un dibattito su questo o quell'aspetto dell'azione di governo, come è accaduto più volte dopo la fallita spallata parlamentare di Fini al governo il 14 dicembre, ma sulla sua linea complessiva e sulla sua stessa composizione, segnerebbe per la legislatura un nuovo inizio. Che, quando mancano due anni abbondanti alla conclusione ordinaria del mandato, farebbe ancora più puzzare di muffa, sul piano politico e istituzionale, tutto ciò che lo ha preceduto: dalla ormai anomala composizione delle commissioni parlamentari, dove la maggioranza ha il diritto di essere rappresentata più di oggi, all'ancora più anomala presidenza della Camera. Gianfranco Fini è arrivato di recente a dolersi dei danni politici, chiamiamoli così, che il suo partito Futuro e Libertà, affidato temporaneamente alla guida di Italo Bocchino, subirebbe per effetto della carica istituzionale che lui ricopre. E che non gli permetterebbe di svolgere appieno evidentemente il ruolo di oppositore, come se la maggioranza avesse interesse a trattenerlo lì, e lo tenesse inchiodato grazie ad un regolamento assai singolare, che non prevede procedure per rimuoverlo. Potenza del ridicolo. Altro materiale, per una commedia, che avrebbe saputo sfruttare alla grande il compianto Eduardo.