Dubbi Ue sulle spiagge private
Bruxellesvuole una maggiore chiarezza sulla possibilità introdotta dal governo con il decreto sviluppo di concedere un diritto di superficie sulle spiagge per 90 anni. Una norma che ha suscitato perplessità nelle associazioni ambientaliste e che se non definitivamente chiarita all'Ue rischia di far aumentare i motivi di incomprensione con l'Europa che ha già avviato una procedura d'infrazione per il sistema italiano delle concessioni marittime, che prevede il loro rinnovo automatico ogni sei anni. Bruxelles ieri ha dichiarato tutta la sua «sorpresa» per le notizie stampa sul decreto sviluppo che introduce il «diritto di superficie» su coste e litorali per un periodo di 90 anni. Il dubbio di Bruxelles è che il provvedimento sia contrario alle regole del mercato unico e della libera concorrenza. Il clima è rovente e la misura è una delle più criticate dai partiti di opposizione, tanto che in difesa della scelta del governo scendono in campo tre ministri, allo Sviluppo, Paolo Romani, all'Ambiente Stefania Prestigiacomo e al Turismo, Michela Brambilla. La norma ha sorpreso Bruxelles. «Non abbiamo ricevuto nessuna notifica da parte delle autorità italiane, ma se i rapporti letti sulla stampa sono corretti e confermati, saremmo molto sorpresi perché non sarebbe ciò che ci aspettavamo», ha detto Chantal Hughes, portavoce del commissario francese al mercato interno Michel Barnier. «Ci aspettiamo chiarimenti da parte delle autorità italiane, la nostra richiesta sarà inviata il più presto possibile», ha precisato. «La reazione ufficiale e formale della Commissione al decreto - ha detto ancora - arriverà solamente quando avremo visto e analizzato in dettaglio il provvedimento». Il contenzioso riguarda in particolare la Direttiva servizi del 2006 che regola il settore del turismo. All'articolo 12 viene sancito che per le attività per le quali le risorse sono limitate (come nel caso dei litorali), le autorità pubbliche sono tenute ad applicare «una procedura di selezione trasparente ed imparziale, che permetta a tutti gli operatori interessati di candidarsi». La portavoce ha parlato di tempi «appropriati e limitati» per garantire agli operatori di pianificare i propri investimenti per un periodo certo, lasciando contemporaneamente a tutti quelli che lo desiderano la possibilità di stabilire un'impresa. Per avere infranto queste regole, Bruxelles ha aperto una procedura contro l'Italia che se non risolta potrebbe portare le autorità italiane davanti alla Corte di giustizia Ue. «La questione è ancora aperta, anche se in questi mesi abbiamo lavorato molto con l'Italia per trovare regole compatibili con il mercato unico europeo», ha riferito la portavoce. «Ciò che ci inquieta è che alla fine dei primi sei anni di concessione, ci sia il rinnovo automatico di questo diritto: ciò è in contrasto con le regole della concorrenza leale e del mercato unico», ha ribadito la Hughes. Bruxelles ha concesso agli operatori balneari un periodo transitorio fino al 2015, per evitare cambiamenti troppo traumatici, ma su questo termine non intende transigere. Tra quattro anni, al termine della concessione di sei anni, le concessioni dovranno essere assegnate attraverso aste aperte a tutti e trasparenti. Per difendere la scelta del governo italiano sono scesi in campo tre ministri. Quello per lo Sviluppo economico Paolo Romani ha chiesto alla Ue di tenere conto della diversità italiana: «in Italia - ha dichiarato Romani - ci sono 25mila aziende balneari capaci di garantire posti di lavoro e di offrire ai turisti la qualità che questo tipo di aziende assicura». Il ministro dell'ambiente Stefania Prestigiacomo ha spiegato: «Abbiamo fatto una norma di tutela del nostro territorio per evitare che vengano a occupare le nostre spiagge imprese straniere laddove abbiamo una tradizione e una presenza storica di operatori italiani». Mentre per il ministro del turismo Michela Brambilla le polemiche nascono solo da malintesi: «La nostra preoccupazione è quella di tutelare le nostre coste, i malintesi saranno chiariti», ha dichiarato.