dall'inviato a PALERMO FABRIZIO DELL'OREFICE «Brigandì, trovate un posto a Brigandì» era la voce beffarda che si faceva scappare ieri un big del Pdl.
QuandoUmberto Bossi urla, strilla e sbraita è chiaro che vuole trattare. Ha sempre fatto così (salvo quando fece cadere Berlusconi). Quando più alza la voce, più sta chiedendo un accordo. E visto che politicamente sta ottenendo se non tutto certamente molto, stavolta reclama poltrone. Dalle parti del Pdl l'hanno capito subito, non appena il Senatùr ha cominciato a strillare sui bombardamenti alla Libia. Certo, Berlusconi ha commesso un errore che gli ha consentito di tuffarsi a pesce nello spazio lasciato aperto: dopo la telefonata con Obama e la decisione di aderire al livello superiore dell'azione militare Nato, il premier s'è dimenticato di avvertire Bossi. E Bossi ha cominciato a strillare per lo sgarbo. Ma che stesse chiedendo qualcosa era chiaro fin dall'inizio visto che il ministro delle Riforme ha fatto una minaccia con smentita incorporata: attenzione, «il governo rischia ma non lo farò cadere». E qui entra in gioco Bringandì. Matteo Brigandì, il mastodontico leghista che appena tre settimane fa è stato dichiarato decaduto dal Csm (nonostante il buon rapporto con il vicepresidente piemontese come lui, Michele Vietti) per via di un dossier pubblicato dal Giornale. Bossi lo vuole al governo, magari sottosegretario alla Giustizia, dicastero tutto in mano a Forza Italia (Alfano ministro, Casellati e Caliendo sottosegretari). Berlusconi per ora ha confermato solo l'ingresso al governo, si vedrà quale dicastero. Forse uno economico. Il premier ha assicurato anche che il posto lasciato libero dall'avvocato cassazionista del Carroccio a palazzo dei Marescialli sarà occupato da un altro leghista. Quando si tratta di poltrone, una soluzione si trova sempre. Per questo il Cavaliere si è mostrato tranquillo sin dall'inizio della quasi crisi. Ma in privato si è sentito amareggiato quando il Senatùr continuava a strillare mettendolo in difficoltà a livello internazionale ma anche interno visto che con le urne alle porte Bossi riuscirà senz'altro a lucrare qualche altro voto. Alla fine il Cavaliere prova a rassicurare: l'impegno dell'Italia in Libia, sottolinea il Capo del governo, «non deve comportare vittime civili». Se hanno volutamente assassinato il figlio di Gheddafi, prosegue Berlusconi, si tratterebbe di un fatto gravissimo perché l'omicidio non rientra fra gli obiettivi della missione alleata. Parole che cercano di recuperare posizione e non lasciare la bandiera del pacifismo (o meglio: del chissenefrega di Tripoli) soltanto nella mani di Bossi. Ma ormai è tardi e dall'apertura delle urne tra dieci giorni se ne accorgerà anche Silvio.