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Il Pd travolto dall'ira del Colle

Il segretario del Pd Pierluigi Bersani

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Ci mancavano solo le parole di Napolitano a complicare le cose in casa del Pd. La lettura de «Il Foglio», con il lungo intervento di Walter Veltroni che chiede una verifica al segretario dopo le elezioni, aveva già fatto innervosire i Democratici, almeno quelli che non fanno parte della maggioranza di Bersani. Ma a rendere ancora più amara la giornata, a metà mattina sono arrivate le parole, dure, di Giorgio Napolitano. Che, è vero, sono un rimprovero a tutti i partiti, ma suonano assai più critiche verso il Pd. Quello che ha più forti legami con lui, che lo ha spinto verso il Quirinale e che maggiormente lo «usa» quando fa i suoi appelli. Solo che stavolta Bersani ha preso un'altra direzione. Ha deciso di ignorare nei giorni scorsi le pressioni che proprio dal Colle sono arrivate per evitare che i Democratici presentassero la mozione sull'intervento in Libia e ora, davanti alle parole ufficiali del Presidente, si trova in forte imbarazzo. La strada, spiegano dentro il partito, è strettissima: da una parte non si può ritirare il testo perché sarebbe l'ennesima figuraccia, dall'altra è difficile ignorare completamente il richiamo che è arrivato dal presidente della Repubblica. Oltre a questo Bersani deve fare i conti con un elettorato che è contrario alla guerra con Gheddafi e che quindi non comprende la scelta di presentare una mozione che ricalca fedelmente la linea del centrodestra. Per il momento nel Pd nessuno vuole spingersi in commenti ufficiali. Ma si sa che per esempio tutti i dalemiani sono stati assai dubbiosi fin dall'inizio sull'opportunità di presentare una mozione che ha come unico scopo quello di spaccare il centrodestra. Qualche spiraglio potrebbe aprirsi quando mercoledì si aprirà al discussione in aula. Se da Pdl e Lega arriveranno parole distensive i Democratici potrebbe sfruttare la situazione per fare un passo indietro e ritirare il testo. Chi ha immediatamente approfittato del momento di difficoltà in cui si dibatte Bersani è stato Antonio Di Pietro. Il leader dell'Idv ha risposto alle parole di Napolitano dando una stoccata ai Democratici: «Noi non abbiamo mai fatto nessun atto ipocrita. Devono rispondere i partiti e i parlamentari a cui si rivolge, perché l'Idv dal primo momento ha ritenuto, contrariamente a quanto pensa Napolitano, di non aderire alla scelta bellica come soluzione del conflitto libico». Ma l'Italia dei Valori ha messo in evidenza anche un'altra difficoltà in cui si dibatte il Pd. Ieri i Democratici hanno detto no alla mozione della Lega che chiede un intervento armato «a tempo» contro Gheddafi. In questo modo però Bersani si trova schierato completamente con le posizioni del Pdl e del governo e fatalmente isolato nell'opposizione. Visto che anche il Terzo Polo che ha presentato una sua mozione autonoma che, tra l'altro, ha avuto l'apprezzamento del presidente della Repubblica. Basta tutto questo a disegnare la situazione di estrema confusione in cui si dibatte Bersani? No, perché ieri si è aperto anche il dibattito sulla proposta di Veltroni. Che agli elettori democratici non è piaciuta né nella forma (una lunga intervista a «Il Foglio» di Giuliano Ferrara) né nei tempi, visto che mancano solo due settimane alle elezioni amministrative. La presidente del Pd Rosy Bindi ha nascosto la sua irritazione con un diplomatico «no comment». «Non voglio commentare una proposta che riguarda il post-amministrative – ha spiegato – lo farò dopo le elezioni». Ci ha pensato invece il deputato Giorgio Merlo a fotografare al meglio la situazione in cui si dibattono i Democratici: «A 15 giorni dal voto per le amministrative arriva puntuale, come sempre dall'interno, una raffica di contestazioni alla guida del Pd di turno. Questa volta scende in campo direttamente Walter Veltroni. Anticipare una possibile resa dei conti dopo il voto del 15 maggio, invocare i soliti "salvatori della patria" e annunciare un radicale e prossimo cambio di passo del partito, è il modo migliore per dire a tutti che le divisioni nel Pd sono un fatto strutturale e permanente». Il senatore Lucio D'Ubaldo ha scelto invece l'arma dell'ironia. «Nell'intervista – spiega – c'è il Veltroni degli ultimi vent'anni. Interessante, seduttivo, arioso ma sempre con il complesso del giovane comunista: in un certo senso la vera rottura non la compie mai. L'operazione a cui mira, quella di un partito che raggiunga il 40 per cento, in Italia è riuscita solo alla classe dirigente cattolica. Anche oggi ci vorrebbe un leader all'altezza di De Gasperi, con le scelte e il coraggio che caratterizzarono l'iniziativa dello statista trentino». La chiusura lascia però uno spiraglio aperto: «La fase di decantazione così come proposta, ha senso nella misura in cui favorisce la costruzione di una grande forza centrale. Qui sta la suggestione, a mio avviso del discorso di Veltroni».

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