La monarchia che dà forma alla democrazia
Lefavole cominciavano con «c'era una volta un re». Non so se questa sia una favola, so che non c'è più il re. Sarebbe stolto dedurre dalla numerosità del pubblico un presunto afflato monarchico, perché la monarchia inglese resiste grazie al fatto d'essere divenuta irrilevante. Elisabetta II, come i suoi predecessori e i suoi successori, è, al tempo stesso, il capo dello Stato e il capo della Chiesa. Una roba da far inorridire, se non fosse che tale titolarità è simbolica e non ha alcun effetto sulle leggi, nonché sulla vita dei cittadini. Ne conosciamo le origini storiche (la rottura con il pontefice romano e il cattolicesimo), ma sappiamo anche che l'influenza religiosa sulla vita civile inglese è pari a quella d'altri Paesi europei, senza che la formale identificazione statuale influisca. Quella inglese è una grande democrazia, di cui invidio molti aspetti. La monarchia non gioca, in essa, alcun ruolo. Il capo dello Stato si limita ad impersonarne l'unità, senza alcuna pretesa di far politica, esprimere idee proprie o avere un quale che sia ruolo internazionale. Fin quando questi saranno i limiti la tradizione potrà convivere con la contemporaneità. Sono i costumi del mondo a cambiare la monarchia, anziché il contrario. La madre del novello sposo era nobile, mentre il padre l'erede al trono. La novella sposa, invece, è borghese. È a tutti noto l'esito del precedente matrimonio principesco, non propriamente felice. Ma c'è una particolarità, che segna la prevalenza del potere dei media sul potere della corona: un tempo non si sarebbe negato ad un re il diritto ad avere l'amante, ma del principe si diffuse un'immagine largamente negativa, pur avendo egli intessuto due relazioni sentimentali nel corso di una vita. Della sua consorte, invece, si diffuse l'immagine largamente positiva, principessa dal cuore infranto, salvo il fatto che i cocci caddero su numerosi giacigli e la morte la colse nel mentre correva in macchina, per le vie di Parigi, con il suo amante. Non, quindi, al capezzale della prole. Ciò non di meno ella fu la regina di cuori e lui il porcello traditore. Potenza dei pregiudizi! Forte dell'esperienza, nonché dell'umiliazione subita ai funerali in mondovisione, la famiglia reale s'è tutelata, questa volta, con un istituto tutto borghese: il patto prematrimoniale. Non ci sono più le principesse d'una volta, sicché meglio evitare che la corona entri nel contenzioso fallimentare. Tutto questo deve essere letto per trarne una lezione: quando il costume politico e democratico di un Paese è forte, prevale anche sull'assetto istituzionale formale, lasciando che la sostanza della sovranità popolare e della dignità statuale non si flettano a personalismi coronati. Il che, ancora una volta, e senza alcun struggimento monarchico, suggerisce una certa invidia, visto che noi ci dimeniamo in personalismi forsennati, cui non rimproveriamo la mancanza di sangue blu (non sapremmo cosa farcene), ma l'assenza di senso dello Stato. Che è anche attenzione alla forma. Certo, un po' mi diverte immaginare cosa si sarebbe detto da noi, spontaneamente autolesionisti, se fossimo stati gli artefici di un tale spettacolo kitsch, comprensivo di tazze ritraenti gli sposi. Ma, almeno per un giorno, può anche starci che taluno chiuda gli occhi e prenda a fantasticare: c'era una volta un re.