Il Cav e Giorgio alleati e pazienti

A dispetto di un certo immaginario collettivo che li vuole distanti anni luce per formazione e temperamento, Giorgio Napolitano e Silvio Berlusconi stanno affrontando insieme, con encomiabile pazienza, le proteste della Lega contro l’aumentato impegno dell’Italia nelle operazioni militari in Libia. Sarà inedita, ma è indice di buona salute delle istituzioni questa specie di ombra di Giobbe che si è allungata contemporaneamente sul Quirinale e su Palazzo Chigi. La febbre leghista per le elezioni amministrative di metà e fine maggio non può sovvertire il buon senso, né provocare una crisi di governo, come lo stesso Umberto Bossi ha del resto riconosciuto invitando le opposizioni a non farsi illusioni. Ma una crisi si evita solo tornando a ragionare, non certo reclamando impossibili marce indietro del Cavaliere. Il leader del Carroccio non può ignorarne le funzioni assegnate dall’articolo 95 della Costituzione. Che dice, testualmente: «Il presidente del Consiglio dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l’attività dei ministri».   Il capo dello Stato ha già certificato la coerenza dell’aumentato impegno militare in Libia con la linea decisa, dopo la risoluzione delle Nazioni Unite, in una riunione del Consiglio Supremo di Difesa da lui presieduta al Quirinale. Vi partecipò, fra gli altri, il ministro leghista dell’Interno Roberto Maroni. Che farebbe bene ora non ad attizzare il fuoco, ma a svolgere opera di moderazione nel partito.