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Anche Bocca invoca il golpe del salotto

Giorgio Bocca

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Il drammaturgo austriaco Arthur Schnitzler diceva che «quando l'odio diventa codardo, se ne va mascherato in società e si fa chiamare giustizia». Ci sono pochi dubbi sul fatto che ultimamente il livello d'odio nel nostro Paese si sia preoccupantemente alzato. Definirlo «codardo» forse è eccessivo anche perché non indossa maschere. Non si nasconde. Anzi, va in giro mostrando in maniera spudorata il proprio volto. Che è poi quello di intellettuali e giornalisti che hanno deciso che è giunto il momento di liberarsi di Silvio Berlusconi. Meglio se con una violenta rivoluzione. In principio fu il professor Alberto Asor Rosa con un pezzo sul Manifesto ad invocare lo «Stato di Polizia», una «prova di forza dall'alto» in grado di restituire «l'Italia alla sua più profonda vocazione democratica». E poco importa se tutto questo si traduce in un congelamento del Parlamento o in scene da regime sudamericano. Se l'obiettivo è spazzare via il premier ogni mezzo è lecito. Un concetto che domenica è stato rilanciato da un altro grande vecchio dell'intellighenzia tricolore: Giorgio Bocca. Bocca ha l'invidiabile primato di essere stato tutto e il contrario di tutto: fascista e partigiano, berlusconiano (addirittura dipendente del Cavaliere) e antiberlusconiano, leghista e antileghista. E alla veneranda età di 90 anni è probabilmente entrato in quella fase della vita in cui si dice tutto ciò che passa per la testa fregandosene delle conseguenze. Così alla vigilia dell'anniversario della Liberazione ha deciso di affidare il suo pensiero ad un'intervista al quotidiano online indipendente Lettera43. Un'analisi a 360° di ciò che sta accadendo in Italia e nel mondo. Senza peli sulla lingua. E sulla scia di Asor Rosa («mi sembra che dicesse quello che dico io»), anche Bocca chiama le folle alla rivoluzione: «Dovremmo avere il coraggio di farlo. Non di invocare uno stato di polizia, ma di avere una reazione, in questo stato di discredito generale della democrazia. La politica ogni tanto ha bisogno di gesti di forza. Bisognerebbe fare una rivoluzione che non abbiamo il coraggio di fare». Nessun dubbio, poi, sul fatto che si tratti di una rivoluzione violenta: «La violenza nella vita sociale è necessaria». E il popolo? La democrazia? Le libere elezioni? «Quello che conta - prosegue - sono le minoranze intellettuali, ad esse è affidata la buona democrazia». Insomma il salotto buono dell'Italia ha deciso, serve un'insurrezione. Perché come spiega il cofondatore di Repubblica «ci sono dei periodi di marciume sociale, nella storia delle democrazie, che vanno interrotti con il fuoco e con le fiamme. Io non ho certamente voglia di fare la rivoluzione, ma ho capito nei venti mesi di guerra partigiana che se non sparavamo noi non sparava nessuno. Per dettare delle regole c'è bisogno di qualcosa di severo e forte». E ancora: «Bisogna essere realisti, quando ad un certo punto sei nel pantano devi venire fuori. Non puoi stare lì a discutere». Eccoli qua i rivoluzionari in pantofole che non nutrono grandi ambizioni se non quella di «mandare via Berlusconi». Il resto si vedrà. Di certo, al di fuori dell'odiato Cavaliere, Bocca salva poco o niente. Matteo Renzi? «Insopportabile», «un furbetto», «l'anti-partito per eccellenza», «condanno il suo modo di essere italiano». Rossana Rossanda? «Pericolosa». Obama? Fa la stessa «politica imperialista» di Bush. Saviano? «Mi sta sui coglioni», è «un esibizionista, un attore», «uno che recita il suo personaggio» e che adesso non è più perseguitato visto che «non fa altro che andare in giro a fare conferenze». Ma tutto sommato «è un uomo di coraggio» ed «è bravo». D'Alema? «Antipatico», ma è «uno che ragiona». Bersani? «Un brav'uomo, ma è un po' retore». Di Pietro? «Un piccolo duce, non è democratico». Il Fatto? «Un giornale disordinato e anche un po' inattendibile» Repubblica? «Non si può andare avanti per venti pagine con Berlusconi e le sua amanti. Le sembra giornalismo? Il troppo stroppia». Bossi? «Un mitomane». Fabio Fazio? «Un altro che recita». La Costituzione? «Me ne frego. Credo più nel Vangelo che nella Carta». Non tutto però è da buttare. Veltroni, ad esempio, «era il meglio del paniere» e anche la Bindi «è una brava politica». E poi, in fondo in fondo, pure Berlusconi «quando non faceva il politico era gentile, allegro». Adesso, però, è «un fetente». E abbatterlo con la violenza è cosa buona e giusta.

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