I giudici devono fare outing
Lo scontro politica-giustizia rischia, come ha detto il presidente Napolitano, di raggiungere il punto di non ritorno. E allora, come si diceva tempo addietro nelle classi elementari, calma e gesso e ragioniamo scrivendo sulla lavagna le cose che dobbiamo dirci sui poteri dello Stato. Innanzitutto va difeso con forza il primato del Parlamento. Le sue decisioni possono essere criticate duramente e contrastate nei modi previsti dalla legge e dalla costituzione, ma la sua delegittimazione potrebbe avvenire solo se una maggioranza parlamentare dovesse ridurre le libertà individuali e collettive tutelate dalla nostra Carta costituzionale. Infine il Parlamento può essere sciolto dal presidente della repubblica se non c’è governabilità o, ai limiti estremi, se si dovesse registrare che nel parlamento non c’è una maggioranza di 316 alla Camera e di 261 al Senato. Secondo concetto. In materia così delicata come quella della giustizia penale e civile i responsabili dell’esercizio obbligatorio dell’azione penale prima di caricare a testa bassa contro il Parlamento della Repubblica devono valutare tutto quanto di eccesso è avvenuto negli ultimi 20 anni. Devono, insomma, fare con grande serenità un "outing" complessivo per capire se decisioni legislative che possono essere anche eccessive non siano da ascrivere a reazioni dinanzi a eccessi uguali e contrari tutelati, peraltro, da una assoluta irresponsabilità civile e disciplinare. I valori costituzionali della autonomia e della indipendenza della magistratura vanno difesi alla stessa stregua del primato del Parlamento e della politica ma vanno vissuti anche con grande responsabilità. Diversamente autonomia e indipendenza scivolano inevitabilmente verso la autoreferenzialità e qualche volta verso l’arbitrio. Negli anni di tangentopoli centinaia di imprenditori, di politici e di pubblici dipendenti sono stati arrestati pur essendo innocenti. Vogliamo ricordare qualche nome? Franco Nobili, Clelio Darida, Francesco Gaetano Caltagirone, Rino Formica, qualcuno che è carne della nostra carne e tantissimi altri. Ebbene non abbiamo mai sentito in questi anni da nessuno dei pubblici ministeri o dai giudici delle indagini preliminari una parola di scuse, una dispiacenza sentita quasi che quegli errori colposi che commessi dagli altri vengono puniti quando diventano propri ricadono in un’area di impunità finanche morale e civile. Un’autoreferenzialità quasi "divina", insomma, in un mondo così pieno di debolezze e di errori. Alla stessa maniera l’assenza totale del Csm (oggi guidato finalmente da un uomo saggio, prudente ma coraggioso come Vietti) che ha lasciato passare ogni cosa ha ulteriormente aggravato il rapporto giustizia-politica. Non possiamo dimenticare, ad esempio, un’ordinanza in cui un presidente di un collegio giudicante napoletano diceva, in nome del popolo italiano, che la politica è l’arte del mentire e Geronimo era un grande politico. Questa ordinanza fu mandata al ministro di grazia e giustizia dell’epoca, Diliberto, e al Csm. Nulla è mai accaduto. Chi ci legge sa che noi in politica non lasciamo mai parlare la pancia e quindi non possiamo riconoscerci nei pesanti giudizi sull’argomento fatti quasi quotidianamente dal nostro presidente del consiglio anche perché larghissima parte della magistratura giudicante è davvero parte terza nel processo e spesso è anch’essa vittima dell’autoreferenzialità e dell’aggressività dell’accusa. Se così stanno le cose, e stanno così, anche le opposizioni possono e devono svolgere un ruolo di interesse generale senza difendere sempre e comunque ogni atto dei pubblici ministeri. Resta il problema, naturalmente, che una diversa legislazione nel settore giustizia, peraltro urgentissima, viene attivata anche con norme ad personam da un governo il cui presidente oggi è parte in causa. Se davvero si ama il Paese è necessario, allora, un colpo d’ala del maggior partito della coalizione e innanzitutto del suo leader per giungere a una serenità operosa. Anche a costo di lasciare temporaneamente la guida del governo dedicandosi più al ruolo di guida politica del partito per riorganizzarlo su basi democratiche. E se Parigi valeva bene una messa, l’Italia tutta merita un atto di coraggio e di transitoria astinenza governativa.