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Senza Tremonti si fa crac

Giulio Tremonti e Silvio Berlusconi

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Facciamo una simulazione, e proseguendo nello scenario ipotizzato da Mario Sechi, immaginiamo che nel governo non ci siano Silvio Berlusconi o Giulio Tremonti; o tutti e due insieme. Chi rappresenterebbe l'Italia in Europa e ai tavoli mondiali? Chi guiderebbe l'economia o riuscirebbe a tenere testa alla Merkel, a Sarkozy, a Putin, a Wen Jiabao? La coppia Frattini-Galan? Il tandem Alfano-Brunetta? Il duo Scajola-Gelmini? Tutti (o quasi) bravi ministri, per carità. Ma con quale peso internazionale? Perfino Frattini, titolare degli Esteri e quindi di quella che tradizionalmente è la poltrona numero due, si deve «ancora fare». E con tutta la simpatia che nutriamo per lui, ogni tanto lo si vede nelle vicenda della Libia. D'altra parte è anche vero che da tempo il capo della Farnesina è calato d'importanza: basta pensare che lo è stato Gianfranco Fini. La politica estera è sempre più rappresentata dall'economia, tranne negli Usa, dove però al dipartimento di Stato c'è Hillary Clinton, la più fiera avversaria di Barack Obama in campo democratico; mentre i segretari al Tesoro saltano come birilli del bowling (Reagan ne ruotò tre, Clinton altri tre, George W. Bush di nuovo altri tre, e quello attuale, Timothy Geithner, è in bilico). In Europa, e tanto più nell'Europa della grande crisi, i giochi si fanno e si disfano tra i premier e appunto i ministri finanziari. E Berlusconi e Tremonti sono gli unici che hanno uno standing che va oltre il triangolo palazzo Chigi-Montecitorio-palazzo Grazioli. Dietro di loro si è formata e si scalda una classe dirigente, il che con tutto ciò che si può dire del Pdl è un merito. Nuotano però nel delfinario, come lo chiama ancora Sechi. Ma se Tremonti oggi saltasse, che fine farebbero i conti pubblici? Che sorte avrebbe il rating sul nostro debito, che determina a sua volta gli interessi che paghiamo sui titoli di Stato e quindi incide sulle nostre tasche, che contano leggermente più delle esigenze del Galan di turno? Abbiamo alcune evidenze. Un anno fa, quando Tremonti ha presentato la manovra 2010-2012 si era nel pieno della tempesta sulla Grecia. Da allora le agenzie di rating hanno ripetutamente retrocesso i paesi a rischio, costringendoli a pagare rendimenti che per i greci hanno raggiunto il 13 per cento. Fu in quei mesi che Moody's affermò che se l'Italia avesse iniziato una politica credibile di riduzione del debito la nostra pagella avrebbe potuto essere rivista al rialzo: il semplice passaggio dal livello attuale di AA2 (A+ nella scala di Standard & Poor's) a AA1 significherebbe un risparmio di quasi un punto sugli interessi sui titoli a medio termine, in valori assoluti oltre due miliardi. Ma poiché si ridurrebbe anche il debito da finanziare, il risparmio sarebbe maggiore. Seconda evidenza. Quando pochi giorni fa è stato approvato e inviato a Bruxelles il Def, Documento di economia e finanza, contenente il Programma di stabilità, il differenziale d'interesse fra titoli italiani e tedeschi è sceso dopo molti mesi sotto i 130 punti, rispetto ai 200 del pieno della crisi. Il motivo: l'impegno preso con l'Europa prevede non solo la discesa del deficit sotto il 3 per cento nel 2012, come previsto dai trattati europei, ma all'1,5 nel 2013 ed il sostanziale pareggio (0,2 per cento) nel 2014, con un piano di accumulo di avanzo primario – il deficit al netto degli interessi – per ridurre il debito nei prossimi anni. Terza evidenza. Per la prima volta governo e Banca d'Italia non litigano più sulla vera entità dei conti. Potranno discutere sulle terapie – via Nazionale vorrebbe una riduzione delle tasse e delle spese – ma non sulle cifre. La dimostrazione l'abbiamo avuta il 20 aprile con l'audizione in Parlamento di Ignazio Visco, vicedirettore generale di via Nazionale. L'entità della manovra da attuare tra il 2013 e il 2014, indicata in 35 miliardi, è come ha detto Visco «presa pari pari dai conti di Tremonti». Non solo. Per Bankitalia quella del ministro «è la strada giusta, e il piano ambizioso». È possibile che Mario Draghi divenga ad ottobre presidente della Banca centrale europea, ed a quel punto alla Banca d'Italia arriverebbe Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro e tremontiano stretto. Ancora più possibile è che Draghi, se davvero ce la facesse, si mostri «più tedesco dei tedeschi». Ma di certo non avremmo finalmente Bankitalia e Bce che mordono ai polpacci il governo. Tutto questo per ciò che riguarda Tremonti. Quanto al Cavaliere il discorso è molto più semplice. Con tutte le sue intemperanze e le sue eccentricità, è stato tuttavia in grado di stabilire rapporti diretti che sono andati da Putin a Bush, da Schroeder alla Merkel, da Tony Blair a David Cameron. Perfino l'accordo con Gheddafi, finché il Raìs ha retto, si è dimostrato efficace nel contenere i clandestini (e nel procurarci il greggio). Ovviamente il ciclo del Cavaliere finirà, ma non vediamo all'orizzonte nessuno in grado di ripetere questi exploit. E se giriamo lo sguardo a sinistra ricordiamo un Romano Prodi inattaccabile sul piano del politicamente corretto, ma quasi inesistente in Europa e nel mondo. E soprattutto sempre in scia agli interessi tedeschi e francesi. Dunque si torna al giochino iniziale. Qualcun altro nel delfinario del centrodestra è in grado di sostituirsi ad un ministro che sarà «poco empatico» e ruvido nell'uso delle forbici, ma è ciò che ci voleva per un Paese che in economia ha sempre oscillato tra la demagogia fiscale redistributiva della sinistra e le mille promesse del centrodestra? Che tiene a bada le rivendicazioni corporative di industriali, sindacati, sindaci, bagnini, tassisti, soprintendenti, registi ed altri professionisti della richiesta? E se ogni ufficiale di complemento o «responsabile» della maggioranza si sente in diritto di presentare ogni mattina al Cavaliere la sua brava lista di richieste (e di soldi), che accadrebbe con uno meno scafato al posto del premier? Conclusione: teniamoci questa strana coppia. Quello fra Silvio e Giulio sarà pure un matrimonio d'interesse: in genere si tratta però dei ménage che funzionano meglio.

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