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Il Pdl deve ancora farsi

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Se il Pdl diventasse un partito vero, il centrodestra potrebbe avere un futuro. Al contrario, se dovesse restare l'"incompiuta" che dal marzo 2009 abbiamo sotto gli occhi difficilmente quel blocco sociale e culturale di orientamento conservatore continuerà ad identificarsi nel movimento berlusconiano. E in questa malaugurata ipotesi inevitabilmente ci troveremmo davanti a una gigantesca delusione dagli effetti devastanti: la destrutturazione del bipolarismo e l'implosione del sistema. Se le cose dovessero svilupparsi in tal modo, non è escluso, come da molti segni si intuisce, che le numerose "anime" del centrodestra finiranno addirittura per combattersi tra di loro, mandando in fumo le aspirazioni politiche di quei ceti dinamici, produttivi, conservatori che si erano riconosciuti nell'annunciata, ma mai realizzata, rivoluzione nazional-liberale. Questo è lo scenario che si propone alla nostra considerazione mettendo insieme gli eventi che negli ultimi mesi hanno squassato il Pdl, l'ultimo dei quali, il conflitto innescato dal ministro Giancarlo Galan contro il ministro Giulio Tremonti, è il punto d'arrivo di un magmatico disagio interno che non è stato domato come era lecito attendersi che avvenisse. Il motivo è semplice. Il Pdl se fosse stato un partito e non un comitato elettorale, peraltro mal sopportato dal suo stesso fondatore, non si sarebbero prodotte nel suo seno le molteplici scosse che rischiano di far franare la già fragile costruzione. I partiti politici, con buona pace di tutti i "nuovisti", sono gli unici soggetti riconosciuti affinché si produca il consenso politico funzionale a dare sostanza ad una democrazia. Possono, naturalmente, essere declinati in vario modo, ma non abrogati almeno fino a quando i sistemi di partecipazione e di intervento popolare saranno quelli che conosciamo. Se lo posero il problema della rappresentanza all'inizio del secolo passato Max Weber e negli anni Trenta Roberto Michels, arrivando alle stesse conclusioni: essa non può prescindere, nelle società di massa, modellate da interessi e valori, dall'azione dei partiti e, dunque, dalle strutture attraverso le quali questi interagiscono con i cittadini. Non credo ci sia bisogno di ripetere la lezione neppure a coloro che hanno dato vita al Pdl provenienti, perlopiù, da soggetti tradizionali e perciò avvezzi a maneggiare la materia con una certa confidenza. Forse è soltanto il caso di ricordargli che la forma-partito impone la discussione interna, il confronto, il conflitto se del caso, ma possibilmente in luoghi deputati e occasioni opportune. Insomma, che qualsivoglia querelle debba deflagrare sui giornali, accendere i dibattiti televisivi, riproporsi distorta o strumentalizzata davanti all'opinione pubblica non è certo un omaggio alla trasparenza, come si potrebbe pensare, ma una sudditanza allo sputtanamento in voga che certo non aiuta i cittadini a riconoscersi nel loro partito. Il quale, per quanto non debba più essere chiuso, fideistico, confessionale o oligarchico (ecco che torna l'insegnamento di Michels), dovrà pure avere una sua compattezza che gli consenta di assumere decisioni e orientare l'opinione pubblica che in esso si riconosce. Qualcuno può onestamente dire di aver mai riscontrato elementi vagamente somiglianti a questi richiamati nel Pdl? Dalla ovvia risposta negativa discende la comprensione delle ragioni che lo stanno logorando. E che, a dispetto di tanti buoni propositi enunciati da molti suoi dirigenti, le lacerazioni sembra che si estendano maggiormente quando si dovrebbero serrare le file, come nell'imminenza di importanti appuntamenti elettorali e di battaglie politico-parlamentari. Da qui la necessità di rimettere ordine nel partito, ripensandolo profondamente e subito, non quando i buoi saranno ormai scappati. Confidiamo che Berlusconi afferri l'occasione e sappia cavalcare la crisi della sua ultima creatura politica prima che sia troppo tardi. Prima, cioè, che arrivi il tempo dei diadochi pronti a spartirsi le vesti di un centrodestra che, a quel punto, sarà soltanto il simulacro di quel soggetto popolare e pre-politico che cercava risposte, congrue alle speranze coltivate, dalle vittorie elettorali di un partito che non è mai riuscito a definirsi.  

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