Perché il Cavaliere dopo Silvio ci sarà
Quel "qualcosa di inedito e totalmente nuovo, un felice imprevisto" che Mario Sechi ha ieri provato ad immaginare per "la successione a Berlusconi" fa il paio con un invito rivolto due giorni prima dallo stesso direttore del Tempo ai vari "congiurati e aspiranti" in agitazione, specie di fronte alle prime indiscrezioni su un incontro conviviale del Cavaliere con alcuni giornalisti stranieri. Ai quali il presidente del Consiglio ha provato ad abbozzare nomi e figure di chi potrebbe essere o diventare il suo delfino. «Il Cavaliere - aveva scritto Sechi dopo averne giustamente attribuito il successo politico non alla vecchia, solita "mediazione dei partiti" ma a "una investitura popolare"- è stato solo il primo di una serie di leader figli di una rivoluzione dal basso. Avanti i nuovi, non i prossimi». Le parole del direttore del Tempo sembrano a prima vista contraddette da un annuncio attribuito al Cavaliere dopo il chiasso provocato dalle sue confidenze alla stampa estera: che "a decidere" la sua successione, al momento giusto, "sarà il Pdl". O come diavolo si chiamerà il suo partito, se a Silvio Berlusconi verrà voglia di salire su un altro predellino e di cambiargli nome. Ma le parole di Sechi sembrano, appunto, contraddette da quelle del Cavaliere. Che mi permetto di considerare un espediente, utile ad abbassare il fuoco sotto la pentola dei fagioli messasi a bollire dopo la sua chiacchierata conviviale con i giornalisti stranieri. Berlusconi sa benissimo, come lo sanno tutti gli analisti in buona fede, non accecati cioè dal pregiudizio o addirittura dall'odio, che il suo legame precede e non segue quello del suo partito con gli elettori. Pertanto potrà succedergli nell'area del centrodestra solo chi lui deciderà di spingere e accompagnare, e in modo talmente chiaro che tutti nelle urne lo possano percepire come un "nuovo", direbbe Sechi, al pari di lui. Piaccia o non piaccia, questa è la realtà dei fatti. Che hanno mostrato di percepire perfettamente gli avversari più avveduti e, proprio per questo, per lui forse più pericolosi. Essi sono da una parte i magistrati, particolarmente quelli di Milano naturalmente, e dall'altra, almeno per ora, l'ex segretario del Pd Walter Veltroni, con buona pace dei vari D'Alema, Bersani, Bindi, Vendola, Casini, Fini e non so se pure Luca Cordero di Montezemolo, visto che la sua è ancora una "tentazione" di mettersi in politica, finendo magari per unirsi ai polli di manzoniana memoria. I magistrati, particolarmente - ripeto - quelli di Milano, hanno mostrato di capire la forza perdurante del legame di Berlusconi con gli elettori quando hanno pensato di poterne rovinare irrimediabilmente l'immagine buttandone la vicenda politica a puttane, nel senso letterale della parola. Ma non è detto naturalmente che ci riescano perché l'ultimo processo che gli hanno cucito addosso sembra più uno straccio che un vestito, viste le sfacciate forzature procedurali e le imputazioni di concussione e prostituzione minorile non corredate con parti che si considerino lese. Veltroni, dal canto suo, preoccupato anche per le gravi incognite della situazione internazionale, a cominciare da quella mediterranea, ha avvertito i rischi di un'altra, clamorosa, questa volta veramente irreparabile sconfitta della sinistra spingendo per le elezioni anticipate, come fanno i suoi compagni. È da questa consapevolezza che è nata la proposta, da lui avanzata in una lettera scritta a quattro mani con l'ex ministro dell'Interno e attuale presidente della Commissione parlamentare Antimafia Beppe Pisanu, di un governo unanimistico di decantazione. È una proposta irrealistica, d'accordo, specie dopo il mancato affondamento a Montecitorio del governo attuale nell'assalto del 14 dicembre, con una mozione di sfiducia predisposta addirittura nell'ufficio del presidente della Camera. Un nuovo governo, con tutti dentro per riformare la legge elettorale e affrontare le difficoltà contingenti, presuppone una improbabile bocciatura parlamentare di quello in carica o le ancora più improbabili dimissioni spontanee di Berlusconi. Ma la proposta è bastata e avanzata a Veltroni, con l'aiuto del volenteroso Pisanu dall'altra parte, per prendere le distanze dal vertice del suo partito. Dove non a caso la sortita non è piaciuta.