Lassini lascia e il Cav accelera sulla Giustizia
«Ho consegnato le mie dimissioni irrevocabili dalla lista del PdL nella mani del coordinatore regionale, Mario Mantovani». Alla fine Roberto Lassini ha ceduto alle pressioni crescenti del suo stesso partito e, dopo aver confessato la propria responsabilità nella stampa e affissione di manifesti anti pm, ha comunicato la propria decisione di ritirarsi dalla competizione elettorale per il consiglio comunale di Milano. Una scelta maturata in Lassini durante la giornata di ieri e anticipata tra le righe di una lettera che lo stesso aveva deciso di scrivere al presidente della Repubblica il quale aveva stigmatizzato i manifesti con la scritta «Fuori le Br dalle Procure». Una missiva di scuse nel quale l'autore dei manifesti si è detto «toccato» dalle parole di Napolitano e che gli ha permesso di spiegare lo sconsiderato gesto: «il messaggio espresso in quel manifesto, da me in qualche modo patrocinato, tradiva una rabbia personale con cui ho convissuto per anni e non teneva in giusta considerazione il dolore di altri italiani e l'attacco non voluto al nostro Stato». E intanto, mentre a Milano il Pdl si prepara a una campagna elettorale che non escluderà duri colpi alla magistratura, a Roma il Cav fa la voce grossa: «Avanti tutta con la riforma costituzionale della giustizia che dovrà essere approvata, in prima lettura, entro luglio alla Camera, così dimostreremo a tutti che erano davvero Gianfranco Fini e, prima di lui, Pier Ferdinando Casini ad impedire le riforme». È questa la linea che, stando ad autorevoli fonti del Pdl, Silvio Berlusconi ha dettato ai capigruppo del Pdl e della Lega riuniti ieri pomeriggio, assieme al Guardasigilli Angelino Alfano, nell'ufficio del capogruppo del Pdl alla Camera, Fabrizio Cicchitto. E così, il presidente del Consiglio, torna a parlare di giustizia. Lo aveva già fatto tre giorni fa a Milano e ieri ha rincarato la dose. Ha voluto galvanizzare la maggioranza spiegando ai suoi fedelissimi che è venuto il momento di dimostrare che senza Fini e senza l'Udc è finalmente possibile cambiare la giustizia, rispondendo così a chi «ci accusa di essere rimasti immobili in tutti questi anni». Mentre, però, il Pdl si prepara a fare quadrato attorno al Cav, la Lega mostra segni di insofferenza sul tema della giustizia tanto che, non solo l'altra sera ha fatto saltare il tradizionale «caminetto» del lunedì ad Arcore tra Bossi e Berlusconi, ma, ieri, ne La Padania, ha relegato la notizia del monito del Colle per il caso Lassini a pagina 12 senza farne accenno in prima pagina. Due casi che dimostrano il fastidio della Lega di fronte allo scontro istituzionale alimentato dall'escalation di «violenze verbali» del Cavaliere contro le toghe. E non solo. Al leader del Carroccio, infatti, non sarebbero andati giù i toni usati in questi giorni da entrambe le parti, perché maggioranza e opposizione così contribuiscono ad alzare il livello troppo sopra al livello di guardia, facendo perdere di vista i veri problemi della gente. Ed è proprio a quella gente che guarda la Lega. Il problema si pone soprattutto al Nord, dove il Carroccio deve fare i conti con una base elettorale sempre più critica sull'alleanza con il Pdl ritenuto colpevole di pensare troppo alle beghe giudiziarie del premier e meno a smorzare i toni dello scontro politico. Una considerazione confermata da Manuela Dal Lago, presidente della commissione Attività produttiva della Camera, che commenta: «Capisco i toni accesi del premier di fronte agli attacchi giudiziari, ha la nostra umana comprensibilità, ma non aiutano». Ed è proprio in conseguenza di ciò che la Lega ha deciso di tenersi le «mani libere» per quanto riguarda la prossima campagna elettorale. La linea del partito è stata quella di allearsi nei grandi comuni del Nord (Torino, Milano, Bologna) ma di correre soli in quelle realtà dove è più diretto il rapporto con la popolazione e dove un'alleanza con il Pdl avrebbe comportato una sicura perdita di consensi. Ale. Ber.