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Sgroi, la toga che sfidò la Procura di Milano

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diFRANCESCO DAMATO A quanti si indignano, anche ai piani alti delle istituzioni, e si apprestano a unirsi al coro delle proteste contro i "soliti" attacchi di Berlusconi alla magistratura vorremmo ricordare il discorso pronunciato 17 anni fa, per l'inaugurazione dell'anno giudiziario, dall'allora procuratore generale della Cassazione Vittorio Sgroi. Il presidente del Consiglio ne sta in fondo traendo in questi giorni le conclusioni, alla luce sia della sua personale esperienza di plurimputato sia del vuoto opposto dalle toghe ai moniti di quel grandissimo e compianto servitore dello Stato, morto nel 2002. L'anno giudiziario del 1994 si aprì mentre al Quirinale Oscar Luigi Scalfaro scavava la fossa, con il loro scioglimento anticipato, alle Camere delegittimate dalle indagini «Mani pulite», condotte come una carica di cavalleria dalla Procura milanese di Francesco Saverio Borrelli. Ne facevano parte, fra gli altri, come aggiunto l'attuale senatore del Pd-exDs-exPci Gerardo D'Ambrosio e come sostituto quel pasdaran dell'opposizione antiberlusconiana che è diventato a Montecitorio Antonio Di Pietro. Alle loro inchieste si riferì di certo il procuratore generale della Cassazione in quell'occasione protestando contro il tentativo di «caricare la magistratura di una responsabilità anomala, fino a stravolgerne la collocazione costituzionale e farle assumere surrettiziamente un potere di governo». Egli denunciò forte il pericolo del cedimento del magistrato «al vezzo del protagonismo e al clamore degli applausi e dei dissensi». E lamentò «lo sviamento della funzione dell'informazione di garanzia perpetrato mediante la sua pubblicità». Ma anche «il sospetto che talvolta le misure cautelari personali», cioè gli arresti, «vengano piegate a finalità improprie». E ancora «la potenziale compressione delle garanzie della difesa»; «il generalizzato ritardo della verifica delle ipotesi accusatorie nel dibattimento»; «l'incongrua esaltazione della figura e del ruolo del pubblico ministero» e infine il pericolo che le piazze si sostituissero ai tribunali nella celebrazione dei processi e nella pronunzia delle sentenze. Dopo nove mesi, il 28 settembre 1994, Sgroi tornò a far sentire la sua protesta, questa volta davanti al Consiglio Superiore della Magistratura, per la tendenza a «considerare esente da ogni controllo disciplinare chi ha acquistato benemerenze presso l'opinione pubblica per la propria attività giudiziaria». Eppure, il 5 ottobre, solo una settimana dopo, il capo della Procura di Milano non seppe resistere alla tentazione di un'intervista al Corriere della Sera per parlare di un'inchiesta in corso sulla proprietà di Telepiù, nella quale era indagato Paolo Berlusconi, il fratello di Silvio. Egli rivelò che l'indagine aveva raggiunto «livelli altissimi». Apparve chiara l'allusione al Cavaliere, che da maggio era presidente del Consiglio. Scattò subito l'allarme politico. L'allora ministro per i rapporti con il Parlamento Giuliano Ferrara prospettò una denuncia per attentato agli organi costituzionali, annusando l'iscrizione del capo del governo nel registro degli indagati. Che venne infatti formalizzata nel mese di novembre per sfociare nel famoso invito a comparire durante un summit internazionale a Napoli sulla lotta alla criminalità organizzata. Al clamoroso annuncio di Giuliano Ferrara seguì il 19 ottobre un incontro di Sgroi con Berlusconi in una sede che più ufficiale o pubblica, e quindi esente da ogni sospetto o ambiguità, non poteva essere: Palazzo Chigi. Ebbene, proprio di quell'incontro gli esponenti di sinistra del Consiglio Superiore della Magistratura cercarono di servirsi il 17 marzo successivo per opporsi alla nomina di Sgroi a primo presidente della Corte di Cassazione, in sostituzione di Antonio Brancaccio, entrato per scelta personale di Scalfaro come ministro dell'Interno nel governo di Lamberto Dini. Che era succeduto a Berlusconi dopo la crisi accelerata dall'iniziativa della Procura milanese, peraltro destinata a concludersi con l'assoluzione del Cavaliere dall'accusa di avere corrotto la Guardia di Finanza per occultare la proprietà di Telepiù. L'assalto a Sgroi nel Consiglio Superiore della Magistratura tuttavia fallì. L'accusa, in pratica, di filoberlusconismo produsse 5 voti contrari e 7 astensioni contro i 17 voti a favore della promozione, che premiava «l'esperienza professionale completa e di eccezionale valore» di Sgroi. Non riesco oggi ad immaginare un procuratore generale della Cassazione in odore non dico di simpatia, ma di doveroso rispetto del presidente del Consiglio, e manifestamente polemico con lo stile e i metodi di lavoro della Procura di Milano, in grado di resistere ad uno scontro con la sinistra, togata e non. E anche di essere promosso dal Consiglio Superiore, in queste condizioni, a primo presidente della Cassazione. Ciò significa che in 17 anni le patologie, chiamiamole così, della magistratura sono peggiorate. Ma gli struzzi istituzionali preferiscono mettere la testa sotto la sabbia.

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