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Tutta colpa di Berlusconi e naturalmente di Israele

Vittorio Arrigoni, volontario italiano ucciso a Gaza

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Ormai la sinistra o quel che resta di un'opposizione indefinibile (per non dire inqualificabile) ha deciso di processare Berlusconi anche per la morte del nostro volontario in Palestina. Perché se il povero Vittorio Arrigoni è morto deve essere stato per forza colpa del governo italiano. E le responsabilità sono sotto gli occhi miopi e votati unicamente al raggio ottico della strumentalizzazione. Il cordoglio che merita questo giovane pacifista, nostro connazionale da rispettare nella vita e nei valori, viene tradito puntualmente dallo sciacallaggio privo di umanità reale e di logica sistemica. Che senso ha sentire tutti i soloni della sinistra esprimere un generico dolore per poi scagliarsi contro il solito obiettivo: l'assenza del governo italiano. Ma di cosa stiamo parlando? Di sicuro non lo sa Bobo Craxi che riunitosi con i suoi pensieri più astrusi (ma non è una novità) ha poi rilasciato una dichiarazione assurda, incomprensibile anche nella presunta indivuduazione di una exit-strategy confezionata sulla tempistica. Sentitelo, ne vale la pena. «Qualcuno ha cercato di evitare la morte di Vittorio Arrigoni»? È quanto si domanda il responsabile Esteri del Partito socialista italiano. «Il giovane - prosegue Craxi nella nota - che con coraggio anticonformista ha saputo raccontare il conflitto in Medio Oriente, è infatti caduto in un agguato vittima di un ordinario regolamento di conti fra disperati palestinesi. Mi domando se in Italia qualcuno abbia mosso un dito, in queste ore, per tentare di sviluppare una difficile trattativa, perché temo di no, forse per il tempo che è mancato, forse per relazioni politiche inesistenti. È morto un giovane coraggioso e poco si è tentato per cercare di salvarlo». Accuse sinuose all'Italia che non feriscono solo il governo, ma tutti gli italiani che invece piangono con sincero dolore il proprio connazionale. Un sottile e pericoloso dardo, nel senso della destabilizzaizone, che si intuisce anche nelle parole di Alfredo Tradardi, coordinatore di International Solidarity Movement, il movimento di cui era attivista Vittorio Arrigoni: «I lati oscuri di questa vicenda sono prevalenti. Attendiamo ulteriori informazioni nel corso della giornata». Secondo Tradardi la situazione deve essere precipitata nella notte e se la polizia di Hamas ha individuato il luogo, evidentemente c'è stata una reazione da parte del gruppo di rapitori che ha portato alla morte di Vittorio. «Riteniamo - la sua conclusione - che la responsabilità morale e politica della morte di Vittorio sia del governo israeliano e di tutti i suoi complici. Può apparire una forzatura, ma noi non possiamo dimenticare che Gaza è un campo di concentramento a cielo aperto dal 2006». Non poteva mancare nel coro nel tragico gioco del tiro al piccione, l'intervento dell'Idv, per bocca di Antonio Di Pietro: «L'Italia dei Valori esprime profondo cordoglio per l'uccisione di Vittorio Arrigoni e si unisce al dolore dei familiari colpiti da questa tragedia». Finito il necrologio, l'ex magistrato «attacca», ancora una volta alla cieca: «È inammissibile che paghi con la vita un giovane che era in Medio Oriente solo per offrire aiuti umanitari e per assistere la popolazione palestinese martoriata da guerre intestine. Chiediamo formalmente al governo di riferire in Parlamento, il ministro Frattini spieghi davanti al Paese e agli italiani cosa è accaduto realmente al nostro connazionale e si attivi in tutte le sedi internazionali competenti per accertare la verità». Da apprezzare invece il dolce e garbato ricordo del giornale col quale collaborava Arrigoni: «Noi del Manifesto eravamo molto legati a Vittorio. Della sua morte abbiamo saputo stanotte (ieri, ndr), verso le 3, ci ha telefonato una ragazza che lo conosceva e subito è partito un tam tam tra i colleghi». Il direttore del quotidiano, Norma Rangeri, parla di Vittorio Arrigoni con affetto e stima. «Del suo impegno aveva fatto una questione di vita. Andava a raccogliere il prezzemolo con i palestinesi al confine con la Striscia dove rischiava ogni volta di prendere con facilità un colpo in testa e si imbarcava con i pescatori per raggiungere acque pescose, ma "proibite" e pericolose».

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