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Sinistra occidentale suo malgrado

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A che punto è la notte della nostra sinistra? A indicare questo punto poteva forse bastare la sgangheratezza biliosa delle più recenti espressioni della sua disperata paranoia antiberlusconiana. E invece no, non bastava. Occorreva che ai suoi strepiti e ululati, talvolta persino di timbro sfacciatamente golpista, sul fronte interno, si aggiungessero, su quello dei grandi ideali planetari, i muggiti di quei piccoli armenti di pretesi «pacifisti» che sul cadavere ancora fumante del povero Arrigoni hanno ieri incominciato subito a scodellare i loro infami sofismi sulle colpe di Israele e dell'Occidente, che sarebbero a loro avviso i veri e unici responsabili della morte di quello sventurato. Fra queste sue due battaglie si direbbe che non c'è nessun rapporto. Che c'entra infatti la lotta per liberare l'Italia da quel furfante del Cavaliere con l'impegno a favore della causa palestinese? Nessuno fuorché il fatto che in entrambi i casi la sinistra, da quella gran maestra di raggiri e di menzogne che è sempre stata, gioca la sua partita chiamando il nero bianco e il bianco nero. È infatti evidente che la grottesca pretesa di accusare Berlusconi si manifesta adesso nel bisogno di spacciare gli assassini salafiti che hanno ammazzato Vittorio Arrigoni per vittime della ferocia dell'Occidente sionista. L'aspetto più assurdo di quest'ultima, ennesima micro-tragedia italiana generata dagli abbagli e dagli inganni della nostra gauche pacifista sul fronte del conflitto israelo-palestinese è comunque la sua pervicace volontà di tapparsi gli occhi e le orecchie di fonte alla chiara, sfrontata rivelazione, da parte degli assassini di quel forse troppo candido ragazzo, del vero significato della loro impresa. Questa rivelazione è interamente racchiusa nella breve scritta in arabo che accusa Vittorio Arrigoni di «propagare i vizi dell'Occidente fra i palestinesi». Accusa solo apparentemente gratuita e infondata. Giacché se da un lato possiamo supporre che Arrigoni, questo forse troppo ingenuo volontario pacifista, che da ben tre anni lavorava a Gaza con una ong favorevole alla causa palestinese, tutto potesse proporsi di fare laggiù fuorché diffondervi volontariamente «i vizi» di quell'Occidente che verosimilmente detestava, dall'altro occorre ammettere che egli ai suoi assassini non poteva non sembrare un perfetto, viziosissimo prodotto di quello spirito dell'Occidente che egli osa esprimere abbracciando la causa dei nemici della propria civiltà. Trovo una limpida illustrazione di questo paradosso nella seguente osservazione di quel blogger geniale che è il mio amico Paolo Pardo: «Arrigoni è un uomo vissuto in un Paese in cui è lecito dire male di tutti e nel frattempo dire bene di un governo straniero – quello di Gaza – che permette che circolino a piede libero terroristi assassini e che si sparino razzi con la speranza di ammazzare civili. Ma ciascuno ha i propri valori. Fra quelli dei palestinesi spiccano l'autoritarismo antidemocratico, l'intolleranza religiosa e l'inumanità. Il povero Arrigoni, che per anni ha trovato ovvia quella tolleranza religiosa e civile, che per anni ha potuto vivere e parlare come ha fatto, anche in Palestina è rimasto perfettamente italiano. Non si è dunque accorto che, mentre le sue mani sventolavano la bandiera palestinese, la sua nazionalità e la sua storia parlavano di un mondo che permette agli Arrigoni ogni sorta di libertà: un mondo in cui imperano i valori occidentali. Si può capire che lo abbiano ucciso». Che Arrigoni non sapesse di rappresentare, per i suoi assassini, i valori di una civiltà – quella occidentale – che lui probabilmente detestava: ecco l'aspetto più paradossale e penoso della sua morte.  

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