L'opposizione non parlamenta
Sconfitte alla Camera, a scrutinio sia palese che segreto, nella loro offensiva contro la legge sul processo o prescrizione breve, le opposizioni hanno scompostamente scambiato per un salvagente alcune dichiarazioni rilasciate a Praga dal presidente della Repubblica. Il quale, pressato da cronisti e inviati con domande sugli effetti del provvedimento passato ora all’esame del Senato, e sui pesanti giudizi espressi dal sindacato delle toghe e dal Consiglio Superiore della Magistratura, si è riservato una «valutazione». Che cos’altro poteva e doveva dire, peraltro all’estero, in visita ufficiale, il capo dello Stato? Ma ciò è bastato ed avanzato per scatenare in Italia i lor signori del no, che hanno annusato odore di rinvio della legge alle Camere dopo il passaggio prevedibilmente definitivo del Senato, dove la maggioranza di governo dispone di margini più ampi che a Montecitorio. Le opposizioni naufragate non hanno solo scambiato per salvagente le parole di Napolitano, che con lodevole prudenza ne ha peraltro precisato ulteriormente i limiti nel giro di poche ore, spiegando che la sua valutazione degli «effetti» della legge precederà il momento in cui egli sarà chiamato a deciderne la promulgazione. Esse hanno anche mostrato di voler usare la riserva di giudizio del capo dello Stato per tornare a mobilitare la piazza, la prossima volta davanti al Senato, come hanno fatto nei giorni scorsi davanti alla Camera, con grida, scenate, insulti e minacce che abbiamo ben sentito e visto qui, a Il Tempo. La cui sede è davanti, anzi accanto a Montecitorio. Al Senato, in attesa dei dimostranti, magari gli stessi che ne assaltarono e imbrattarono il portone principale nei giorni dell’approvazione della riforma universitaria, come antipasto della guerriglia poi scatenata nel resto del centro di Roma, la capogruppo del Pd Anna Finocchiaro si è affrettata proprio ieri ad annunciare il proposito di sbarrare la strada dell’aula alla legge appena approvata dai deputati. Possiamo stare certi- figuratevi- che non sfigurerà nella gara con il suo omologo di Montecitorio Dario Franceschini. Che al ministro Ignazio La Russa, reduce dai fischi e dalle monetine lanciategli davanti a Montecitorio dai manifestanti, non trovò di meglio da gridare, praticamente, che se l’era andata a cercare nel momento in cui aveva deciso di passare dall'uscita principale, anziché sceglierne una secondaria. La provocazione purtroppo gli riuscì perché il ministro gli rispose in modo ugualmente sconveniente, prendendosela anche con il presidente dell’assemblea. Con questo uso della piazza, ancora più spregiudicato di quello dei regolamenti parlamentari, le opposizioni dovrebbero stare più attente, nel loro stesso interesse. Esse non solo rischiano di scaldarle troppo, e di scaldarne troppo anche gli intellettuali di supporto, tipo Alberto Asor Rosa. Che dalle colonne del Manifesto si è appena avventurato nella voglia di un bel colpo di Stato per liberarsi finalmente dell’odiato Cavaliere, visto che i magistrati, per quanto ce la mettano tutta, non riescono a mandarlo in prigione. Con questi pruriti di mano e di cervello la sinistra rischia di farsi scaricare anche dalla intellettualità fine, che non le manca, vista la fretta con la quale, per esempio, il direttore della Repubblica Ezio Mauro ha liquidato le "parole sbagliate e pericolose", anzi "le sciocchezze" di Asor Rosa: un intellettuale che ha ben poco diritto di lamentarsi della senilità altrui, visto l’uso che fa della sua. E lo dice uno che è sopra la settantina pure lui.