Processo breve, il dibattito si allunga
Battaglia era stata annunciata e battaglia è stata. La legge sul processo breve tiene i deputati "incollati" alle sedie nell’Aula di Montecitorio sino a notte fonda. Ci sono tutti. La guerra è guerra. I numeri della maggioranza sono stringati. E l'opposizione è lì pronta ad approfittare di un eventuale passo falso. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta si lascia andare a un insolito - quanto azzeccato - commento: «Sarà una giornata difficile, una settimana incandescente». Nulla di più vero. Si inizia con il voto sul rinvio del provvedimento in Commissione, chiesto dal Pd per allungare ulteriormente i tempi. Non appena il presidente della Camera Gianfranco Fini dichiara aperta la votazione scatta la corsa allo scranno. Chi è in piedi in giro per l'Aula si precipita al proprio posto, alzando la mano per chiedere alla presidenza di essere aspettato. Paola Binetti (Udc), che ha dimenticato la tesserina che consente di votare nella giacca, si alza velocissima e dà inizio a una vera e propria corsa ad ostacoli, riuscendo - non senza fatica - ad arrivare al traguardo. La richiesta dell'opposizione, comunque, viene respinta. Ci sono 11 voti di scarto. I ministri presenti - quasi tutti - sono determinanti. Si procede con la votazione degli emendamenti all'articolo 2. Il meccanismo è sempre lo stesso: durante gli interventi e le dichiarazioni di voto i deputati si concedono lunghe passeggiate in Transatlantico, rincuoranti pause caffé e meritate sigarette in giardino, poi quando si sta per votare partono gli sms di radunata e tutti - chi più atleticamente chi meno - tornano a posto. Questa volta è Michela Vittoria Brambilla ad essere un po' in ritardo. Il ministro lancia un'occhiata preoccupata a Fini, ma lui la rassicurà: stavolta aspetterà. La sedia di Giulio Tremonti non le consente di passare, ma alla fine è il neo ministro Saverio Romano a risolvere l'empasse agevolandole il passaggio. Anche questa votazione è andata. L'annunciato «Vietnam» del Pd arriva quando si iniziano a votare gli emendamenti all'articolo 3, quello che prevede la cosiddetta «prescrizione breve» per gli incensurati. I democratici si superano. Dopo averlo fatto in tutte le manifestazioni di piazza organizzate da 17 anni a questa parte (o quasi) decidono di leggere in aula gli articoli della Costituzione. Sono i big a iniziare: Dario Franceschini legge l'articolo 1, Pier Luigi Bersani l'articolo 2, Enrico Letta il terzo, Rosy Bindi il quarto. Massimo D'Alema, che in questo non dichiarato organigramma finisce in quinta posizione, sceglie di distinguersi da chi con banale ordine crescente lo ha preceduto, leggendo l'articolo 87 su poteri e doveri del Capo dello Stato. «Meno male che c'è - commenta il presidente del Copasir - dal momento che in questo momento rappresenta l'unico punto di riferimento per i cittadini. Consentitemi di leggere anche la prima riga dell'articolo successivo - aggiunge - "Il presidente della Repubblica può, sentiti i loro presidenti, sciogliere le Camere". Più che una lettura è un auspicio», conclude. Il povero Walter Veltroni, in questa ipotetica classifica di importanza del Pd, finisce addirittura nono. E solo perché la collega Livia Turco si fa beccare assente, altrimenti l'ex segretario sarebbe stato decimo. Dopo i "pezzi grossi" l'elenco procede più o meno in ordine alfabetico. Ogni democratico sceglie liberamente quale articolo della Carta leggere. Qualcuno si distrae e ripete parole già lette. Ma tutto fa brodo: l'importante è perdere tempo. I democratici però non sono gli unici a leggere qualcosa. I Futuristi infatti non vogliono essere da meno. E se Antonino Lo Presti tira fuori una lettera scritta dai parenti delle vittime del terremoto dell'Aquila, (che secondo l'opposizione non otterranno giustizia proprio a causa della prescrizione breve), Roberto Menia delizia l'Aula con una «suggestione antica» disturbando addirittura Gabriele D'Annunzio. Fabio Granata fa di più: «Aristotele diceva che si ritiene giusto ciò che è conforme alla legge e rispetta l'uguaglianza e ingiusto il contrario. Alla luce di queste considerazioni - dice rivolgendosi alla maggioranza - non sono il Popolo Viola o Fli a bollarvi come ingiusti, ma il pensiero classico». Da applausi. L'Udc, con Pierluigi Contini, sceglie invece Don Sturzo, mentre i deputati Idv - che certo non brillano per originalità - leggono l'elenco dei processi che secondo loro non andranno a sentenza se verrà approvato il provvedimento sul processo breve. A spiegare che così non sarà è invece Angelino Alfano. Lui legge dei dati: «Attualmente i processi penali - spiega il ministro della Giustizia - durano, in media, 317 giorni in primo grado, 738 giorni in appello e 204 giorni in Cassazione e si prescrivono in media, ogni anno circa 170 mila procedimenti penali». Dal momento che il processo breve si applica solo ai processi di primo grado e agli incensurati, che sono in media il 55% sul totale dei condannati «l'impatto di questa legge sarà minimo e i processi penali a rischio diventano circa lo 0,2% mentre ogni anno si prescrivono in media il 5 per cento dei procedimenti». Discorso opposto vale invece per i processi come quello per il disastro di Viareggio o per il terremoto dell'Aquila, tirati strumentalmente in ballo dall'opposizione. Se il provvedimento verrà approvato, la prescrizione dell'incidente ferroviario «maturerebbe in 23 anni e quattro mesi, quindi nel 2032», mentre per il crollo della casa dello studente «il termine si ridurrebbe di soli dieci mesi». Per l'opposizione sono parole al vento. L'ostruzionismo continua. Oggi sarà nuova battaglia. Il voto finale è previsto per le otto di stasera. Per i deputati sarà un'altra dura giornata di guerra.