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Da ieri non è più consigliere del Csm il laico della Lega, Matteo Brigandì.

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Laragione: non essersi dimesso per tempo da ruolo di amministratore della Fin Group, mentre la legge stabilisce l'incompatibilità tra l'essere componente di un consiglio di amministrazione di una società commerciale e l'incarico di consigliere del Csm. La votazione è avvenuta a scrutinio segreto dopo che al Csm era stato notificato il ricorso al Tar presentato in prevenzione da Brigandì. A quel punto, Vietti ha proposto di invertire l'ordine del giorno, riprendendo la trattazione del caso Brigandì che ieri mattina era stata rinviata al 4 maggio. Brigandì era già finito nella bufera dopo la pubblicazione su Il Giornale di atti del Csm relativi ad un procedimento disciplinare a carico del pm di Milano, Ilda Boccassini; un caso per il quale lo ha messo sotto inchiesta la Procura di Roma, che indaga su di lui anche per la vicenda che ieri gli è costata il posto di consigliere del Csm. Con la sua uscita dal Csm e sino a quando il Parlamento in seduta comune non nominerà il successore, il gruppo dei laici che fanno riferimento alla maggioranza di Governo scende a 4 consiglieri. Si tratta di una soglia che non consente di far mancare il numero legale alle sedute del Plenum del Csm; un'arma di cui i laici di Pdl e Lega non si sono mai avvalsi in questa consiliatura, a differenza di quanto accaduto in quella precedente.

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