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Berlusconi striglia l'Unione Europea "O è concreta o è meglio dividerci"

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Silvio Berlusconi

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«Lampedusa è svuotata». Silvio Berlusconi torna sull'isola siciliana e dimostra che l'Italia ha fatto la sua parte, che il piano annunciato nella sua prima visita «ha trovato attuazione». Il premier atterra nel primo pomeriggio. Dopo un caffé e una passeggiata sul molo si concede un giro sulla "spiaggia dei conigli": «Il grosso delle pulizie è stato fatto: rimangono poche cose, ma andando in giro a vedere i siti non si riconosce nulla di fuori posto», racconta soddisfatto al suo ritorno. È vero, gli sbarchi continuano, ma «da lunedì (domani, ndr) - assicura - cominceranno due voli regolari al giorno per il rientro in Tunisia». L'Italia fornirà al Paese africano «aiuti concreti» (150 vetture fuoristrada e quattro motovedette per il controllo delle coste) e ha già firmato «un accordo per mandare nostre navi appena fuori le acque territoriali per l'intercettazione delle imbarcazioni». È tutto stabilito. Senza dimenticare poi quello che il Cav ha definito «il fattore psicologico». «Immagino che quando in Tunisia si sarà venuti a conoscenza dei rimpatri da Lampedusa, tutti coloro che hanno intenzione di venire qui si domanderanno se ne valga la pena. Credo non ne valga la pena», sottolinea. Berlusconi è ottimista. Il Paese - come lui si aspettava - ha reagito bene all'emergenza. A latitare è l'Europa. Il premier non può fare a meno di inserirsi nella querelle diplomatica innescata da Francia e Germania in seguito all'approvazione del decreto sui permessi di soggiorno temporanei. Il Cav parte cauto: «Lunedì avremo una risposta, cui l'Europa non potrà sottrarsi - spiega facendo riferimento al vertice dei ministri degli Esteri e degli Interni in programma domani a Lussemburgo - Il problema deve essere europeo e che l'Unione si sia impegnata a un intervento è già stato sancito nell'ultimo Consiglio europeo». Berlusconi sceglie la via della della diplomazia anche commentando i recenti attriti con Parigi. Il premier guarda oltre: «Buon senso vorrebbe che si raggiungesse presto un accordo», spiega. Poi però piazza un primo colpo: «La Francia deve rendersi conto che l'ottanta per cento dei migranti dichiara di voler raggiungere parenti e amici oltralpe. Se non ci sarà un accordo, saremo costretti ad inserirli nei centri di accoglienza dove possiamo tenerli solo sei mesi. Dopo sarebbero liberi di raggiungere la Francia», ammette. Il Cav ha qualcosa da rimproverare anche ad Angela Merkel: «Non ho dubbi sul fatto che la cancelliera possa mettere in campo il suo contributo - premette - Forse per ragioni interne, in un momento difficile per tutti i governi d'Europa, in cui questa crisi rende difficile l'attività di governo e tutti gli esecutivi soffrono di popolarità, con una caduta verticale del gradimento dei cittadini nei confronti dei capi di governo, capisco che ci siano degli atteggiamenti da tenere nei confronti del proprio elettorato, ma poi - tuona il presidente del Consiglio - alla fine si devono fare i conti con la realtà». Il Cav decide di togliersi qualche sassolino dalla scarpa e va oltre. Si rivolge ad Angela Merkel e parla a tutti i leader dell'Unione: «Si devono fare i conti con la realtà e con il fatto che l'Europa o è qualcosa di vero e di concreto, oppure non è. E allora meglio ritornare a dividerci e ciascuno a inseguire le proprie paure e i propri egoismi», provoca. Adesso la palla passa all'Ue. Sul tavolo dei ministri dell'Interno Maroni porta un dossier molto carico: la richiesta di attivare la direttiva europea sulla protezione internazionale, il decreto sui permessi di soggiorno temporanei, la domanda di ulteriori risorse per la gestione dell'emergenza. Gli ostacoli da superare riguardano i primi due punti e il primo ad esserne consapevole è proprio Maroni: «L'Europa si fa vanto di grandi principi, ma quando deve dimostrare che c'è solidarietà questo non avviene. La collaborazione che mostra il popolo italiano manca un po' invece in Europa», ha attaccato ieri il titolare del Viminale. Deciso anche Giorgio Napolitano, che da Budapest ha continuato a strigliare l'Ue: «L'Europa deve parlare con una voce unica». Staremo a vedere.

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