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Va in onda il vuoto unitario

Unione Europea

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Guardate la storia della televisione e vi accorgerete che l'Europa unita (nel senso politico del termine) non esiste. In questi giorni ed in queste ore da scenario di guerra nel Mediterraneo con la crisi libica che tiene banco, da Roma a Parigi, da Londra a Oslo, e di fronte alle fratture tra i diversi paesi del Vecchio Continente sul da farsi, fratture legate alla peculiarità ed alle legittime tentazioni dei differenti interessi nazionali, siamo andati a guardarci le programmazioni informative delle varie reti nazionali: l'italiana, la francese, l'inglese, la norvegese, la spagnola e via discorrendo. E ci siamo resi conti che ciò che l'Euro (la moneta) ha unito - per quanto riguarda la comodità dei pagamenti - la televisione divide. Niente, infatti, come la tv risente nel suo manifestarsi e nella sua costruzione informativa, narrativa, telegiornalistica, di spettacolo, della storia politica e culturale del Paese che essa stessa incarna. La tv pubblica italiana nel suo farsi è, negli anni Cinquanta, lo specchio di un paese democristiano che aspira all'unità linguistica ed alla ricostruzione dopo il disastro della II Guerra mondiale. Si allarga poi alla modernità dei socialisti nei primi anni Sessanta (con la nascita del Secondo Canale) per sfociare in coincidenza della stagione del compromesso storico nella Terza rete, area ad influenza comunista. Anche le vicissitudini delle tv commerciali, in fondo, ripercorrono climi culturali che cambiano e niente meglio delle tv del Cavaliere, negli anni Ottanta, incarna l'eldorado dell'Italia craxiana e reaganiana che ritrova la voglia di vivere e di spendere, senza sensi di colpa. Volendo pescare dalla saggezza un po' noiosa dei proverbi potremmo azzardare un "nazione che vai televisione che trovi" perché così è. Guardiamo, ad esempio, ai cugini di Oltralpe, i francesi: beh, sulla loro tv pubblica, nei primi anni Cinquanta, una parte da leone l'hanno fatta i programmi di storia. Era, la narrazione della storia, un modo per mettere al centro la Francia che nell'epoca moderna, dalla Rivoluzione francese a Napoleone, passando per le due guerre mondiali ha avuto un ruolo notevole. Del resto nel 1989, anno del crollo del Muro di Berlino, la tv transalpina ha dedicato 120 ore di documentari, ricostruzioni e lezioni riguardanti quel periodo, in parte con scopi informativi, in parte perché la Rivoluzione forniva uno sfondo interessante per un thriller o una storia d'amore. Il tributo al passato iniziò, tra l'altro, un anno prima con Un médecin des Lumières, substrato culturale per la Rivoluzione. Poi arrivarono i programmi più didattici come "La Rivoluzione francese" trasmesso da FR2. Attraversando la Manica e sbarcando in Inghilterra, le cose cambiano ma non molto. Un esempio: nel 1964, per ricordare l'anniversario della prima Guerra mondiale, la BBC trasmise The Great War. La serie utilizzava interviste ai veterani e servizi originali e 10 anni dopo sarà seguita dalla produzione World at War, di Thames TB (ITV), che includeva interviste con un ampio numero di testimoni oculari. Uno potrebbe pensare: vabbé ma un po' di nazionalismo televisivo è normale in Francia, paese piuttosto sciovinista, o in Inghilterra, terra della più longeva democrazia del mondo. D'accordo, ma se ci spostiamo nella latina Spagna le cose non mutano poi tanto. Influenzata dal monopolio statale e dal franchismo sino alla fine dei Settanta, con la caduta di Franco la tv spagnola si è aperta - grazie anche all'avvento delle tv commerciali - ad una pluralità di programmi, non perdendo però di vista la caratteristica nazionale e identitaria, con attenzione ai regionalismi basco e catalano. Intendiamoci, questa essere nazionali non è una colpa ma una conseguenza della natura stessa della televisione. Sarà per questo che, nonostante la moneta unica, l'unica programmazione tele-culturale che, negli ultimi 50 anni sembra aver unito la vecchia Europa, sono i Giochi senza frontiere. Cominciarono nel maggio del 1965 ed erano un torneo tra le diverse nazioni europee. Il format del programma prevedeva una serie di sfide tra città di diverse nazioni ed ai concorrenti veniva chiesto di mettersi alla prova anche in performance piuttosto spettacolari. All'inizio i paesi che partecipavano erano Francia, Repubblica federale tedesca, Belgio, Italia, Svizzera ma col passare degli anni l'elenco si allargherà ad altri, tra cui Spagna, Grecia, Portogallo e via di seguito. I Giochi senza frontiere entrano in crisi ai primi degli anni Novanta, dopo la fine del comunismo e l'accelerazione (non suoni come un paradosso) sulla strada dell'unità europea. A togliergli pubblico sarà anche la crescente passione per il calcio verso cui si riverserà lo spirito patriottico dei pubblici televisivi delle diverse nazioni. Così, mentre la crisi dei Giochi avanza, il Vecchio Continente va verso la moneta unica. In Italia, in tv, il giornalista Alan Friedman - siamo nel 1997 - si inventerà il programma Maastricht Italia, ricordate la sua battuta tormentone sull' avvento dell'euro, parola pronunciata con forte accento inglese? Saranno i contrappassi della storia ma oggi che l'euro c'è davvero l'Europa politica appare sempre più divisa: come avrebbe detto il toscano Guido Angeli, televenditore degli anni Ottanta e protagonista dello spot per i mobili Aiazzone: "Guardare la televisione per credere!".

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