L'illusione della moneta

Non ho mai creduto a un’Europa costruita sull’euro, sul mito del conio unico per tutti, sulla Banca Centrale Europea, sulla burocrazia che si occupa della lunghezza dei cetrioli e non del calo demografico e dell’identità culturale del Vecchio Continente. Datemi pure dell’euroscettico, non me ne importa niente, perché alla fine il tempo è galantuomo. Un’architettura pensata contro l’uomo e per il denaro si sta rivelando fragile e pericolosa per la nostra convivenza. Bastava leggere un po’ di storia per capire che tutto questo castello di carta finanziaria sarebbe crollato di fronte ai grandi shock globali che non si possono gestire da una sala trading o da un hotel cinquestelle. C’è fior di letteratura sul tema, occultata con cura, mai citata dai gazzettieri vari. E questo silenzio complice, sottile, tremendo è una delle colpe più gravi del ceto intellettuale. Ogni volta che sui giornali compariva la voce del dubbio sul traffico tra Francoforte e dintorni (Bruxelles non conta nulla), si levava altissimo il coro degli euroentusiasti, di quelli che tutto va bene madama la marchesa, di quelli che l’Europa non si discute. Eccovi serviti. Il Nord Africa esplode, la demografia si sta imponendo con tutta la sua forza ciclopica e il vecchio asse tra Parigi e Berlino riscopre le «frontiere» e tra un po’ anche il filo spinato. Ci avevano raccontato un mondo connesso, globalizzato, intelligente a prescindere, illuminato dal progresso, ci ritroviamo in uno scenario cupo dove l’Italia, la portaerei di questa ondata migratoria, è tra l’incudine dell’Europa e il martello del Maghreb. E dovrebbe sbrigarsela da sola, in nome di questa Europa. Meglio che si sfasci. Sarà l’occasione per costruirne una migliore.