Silvio apre la settimana della Giustizia
È la settimana della Giustizia. Oggi il processo Mediatrade, mercoledì quello più atteso dai media di mezzo mondo: il processo sul caso Ruby. E poi la battaglia che riprende in Parlamento. Alla Camera c'è da votare il conflitto di attribuzione, entro martedì in modo che la difesa del premier possa utilizzare la decisione di Montecitorio nel procedimento a Milano in cui Silvio è imputato per concussione e prostituzione minorile. E poi c'è da portare in dirittura d'arrivo anche il processo breve. Insomma, altri giorni di fuoco attendo il Cavaliere, i suoi avvocati, il Pdl, la maggioranza e il governo stesso. Oggi intanto Berlusconi volerà a Tunisi per fare fronte all'altra emergenza che sta affliggendo il Paese, quella dell'immigrazione. Prima però, il premier trascorre una domenica a casa. Si collega telefonicamente con il convegno di Rete Italia organizzato da Roberto Formigoni. E suona la carica. Descrive la politica come senza potere. «Messa nell'angolo», è l'espressione che usa. Torna a ricordare come l'Italia è «l'unica democrazia in Occidente» in cui il governo è di fatto schiacciato, «sovrastato» dal Parlamento, dai giudici, dalla Corte Costituzionale. Per questo torna a porre l'accento sulla «rivoluzione necessaria per garantire un futuro di libertà e giustizia nel Paese». Il premier appare anche più sereno sulle reali possibili di portare a casa la riforma della Giustizia: «Andiamo avanti con questa nuova maggioranza», è la sua riflessione, visto che adesso «sono finiti i veti di Fini e Casini» per cui «nei prossimi due anni di legislatura riusciremo a modernizzare il Paese». Un Berlusconi che mette in guardia il suo elettorato dalla possibile discesa in campo di Luca Cordero di Montezemolo. Tanto che in un passaggio del suo discorso, senza citare ovviamente il presidente della Ferrari, spiega come la sua azione sia rivolta a «contrastare gli unici poteri che contano e cioè quello economico e giudiziario». Ma è l'unico accenno che si concede fuori da un intervento tutto concentrato sulla Giustizia. Sulla magistratura «politicizzata», in particolare. Appena qualche parola anche sulla situazione nel suo partito, il Pdl. «Credo che la politica - osserva il presidente del Consiglio - non si debba ammantare solo di parole, di status, di privilegi a cui non corrisponde un'effettiva tensione al cambiamento della società e dello sviluppo. Allora veramente c'è un indebolimento della democrazia. La politica - aggiunge - ha bisogno di fondarsi su valori, programmi e la capacità di realizzarli. Noi agiamo in grande coerenza perché senza coerenza fra ciò che mettiamo nei nostri programmi e ciò che facciamo la politica perde la fiducia della gente e il consenso dei cittadini». Silvio prova a tenersi fuori, almeno in pubblico, dalle polemiche. Al contrario, prova a spiegare la prospettiva del Pdl: «Il nostro partito, fin dall'inizio della sua avventura, si è definito un partito liberal democratico popolare, cattolico ma non confessionale, laico ma non intollerante, nazionale ma non centralista. Finora siamo stati fedeli a questa nostra ispirazione e i cambiamenti che cerchiamo di imprimere sono coerenti a questi principi». «Paolo VI affermava che la politica è la forma più alta della carità e non a caso don Giussani - evidenzia il Cavaliere - diceva che l'opera politica deve trasformarsi in concretezza del fare. La politica non può vivere senza fede, senza ideali, senza profondo disinteresse ma non può sussistere se non si traduce in capacità di trasformare la società».