La piazza ferma a Tangentopoli
Mentre scrivo questo articolo, un gruppo di manifestanti in piazza Montecitorio si esibisce al suono di tamburi, megafono e slogan che non lascia dubbi circa il suo nobile pensiero: «Berlusconi a San Vittore». Questa è la cifra dell'opposizione italiana – non tutta – un distillato d'odio e cieca volontà di annientare l'avversario con tutti i mezzi possibili, meglio se cruenti e fuori dalla politica. La character assassination, la campagna di sputi in faccia contro il leader espresso dal blocco sociale moderato è il vero tema persistente della nostra storia dagli anni Novanta ad oggi. Cominciarono con Craxi. Continuano con Berlusconi. E non si sono mai fermati. Le radici putrefatte di Mani Pulite hanno contaminato tutto il dibattito politico del Paese. Abbiamo avuto i nostri morti e tanti feriti. Ma tutto questo pare non averci insegnato niente e il clima che si respira è fetido. Ci sono fazioni che cercano l'incidente, la scintilla per innescare una guerra civile strisciante che giustifichi governi d'emergenza e altre sofisticazioni parlamentari che rispondono ai pericolosi giochetti del Palazzo Sommerso e di un establishment codardo al punto da esser silente di fronte alla mortificazione continua dei diritti individuali, della società liberale e della politica quale strumento per regolare la vita civile. Siamo di fronte a un fallimento collettivo e a uno scenario pieno di rovine fumanti: l'orologio dell'Italia è fermo al 1992 e, in fondo, leggere i nomi dei protagonisti della nostra tragedia, ci conferma la cristallizzazione del presente nel passato. Berlusconi, Di Pietro, D'Alema, Veltroni, Fini, la procura di Milano, sono attori sui cui volti si sono disegnate più rughe ma il copione recitato è sempre lo stesso. Il popolo italiano ha in parte subito e in parte assecondato questa rappresentazione. Il dinamismo insolito dell'uomo di Arcore in condizione di perenne emergenza, assalto e delegittimazione, piano piano si è affievolito, fino a sconfinare nell'errore politico e nella incomprensibile leggerezza. Le energie di Berlusconi si sono concentrate nel rispondere colpo su colpo ad avversari la cui manovra aggirante era fatta non con i normali e legittimi mezzi della politica ma con l'uso massiccio della cavalleria corazzata della magistratura. Si è peccato moltissimo nell'analisi di questo fenomeno: si è visto un disegno per cui le toghe erano un braccio armato della politica, sotto-ordinate rispetto a un partito o a una sua fazione più ideologizzata. In realtà penso che le cose siano andate in maniera molto diversa e che non esista alcuna mente o regista occulto, piuttosto un ordine – quello giudiziario – che per debolezza dei partiti s'è trasformato in un contropotere che ormai seleziona la classe dirigente, funge da terza Camera e domina politica e vita pubblica. Tutto questo ha fatto deragliare il treno delle riforme necessarie, alimentato i sogni di chi spera di ereditare i voti di Berlusconi da destra e dal centro, impedito alla sinistra di evolversi, di passare dal socialismo reale al riformismo senza impantanarsi nelle secche del post-comunismo e finire tragicamente prigioniera degli estremisti che fischiano, urlano, agitano le manette, sognano la forca e piazzale Loreto, ma non hanno un'idea sul futuro di questo luogo che è profondamente sbagliato definire oggi un Belpaese.