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Nel 1911 in Libia contro lo schiavismo

Libia nel caos

Scopi umanitari per la guerra alla Turchia I nostri soldati adottarono gli orfani libici

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Oggi i cittadini libici in fuga dalla guerra nel loro paese arrivano a Lampedusa a bordo delle carrette del mare a rischio della loro vita. Un secolo fa, invece, ai tempi della guerra italo-turca di Libia, avvenivano episodi completamente diversi. Anche allora gli stati facevano valere i propri interessi nazionali, magari camuffandoli con motivazioni umanitarie: «Non è tollerabile che nel ventesimo secolo nei mercati di Tripoli e di Bengasi vengano venduti gli schiavi!» dichiarava nel 1911 Giolitti, il presidente del consiglio dei ministri. Dopo una campagna condotta per terra e per mare, il 18 ottobre 1912 i plenipotenziari di Italia e Impero Ottomano firmavano la pace ed il 5 novembre veniva proclamata la sovranità italiana sulla Tripolitania e sulla Cirenaica, ma le operazioni nel Fezzan proseguivano e il Regio Esercito riuscì ad occupare tutto il territorio solo alla vigilia della prima guerra mondiale. La battaglia di Assaba contro i ribelli, in particolare, avvenne nell'ambito delle operazioni contro le bande armate ostili all'amministrazione italiana dopo la fine ufficiale della guerra e si svolse nella giornata di Pasqua del 1913, il 23 marzo. Il capo guerrigliero El Baruni, che aveva una bellissima schiava nera, continuava a rifiutare la sottomissione all'Italia e il 20 marzo gli insorti ai suoi ordini attaccarono le posizioni del battaglione alpino «Tolmezzo», che contrattaccò e sbaragliò il nemico. Rastrellando ciò che rimaneva delle postazioni nemiche abbandonate dagli arabi in fuga e disseminate di cadaveri, gli alpini del «Tolmezzo» rinvennero una giovane donna dalla pelle scura, bellissima e gravemente ferita, era la schiava di El Baruni. Fra gli stracci che la avvolgevano, trovarono numerose munizioni e, miracolosamente incolume, un bimbo di un anno o due, piangente. I medici militari soccorsero e curarono in ogni modo la donna, che però morì dopo alcune ore, mentre il piccolo, affamatissimo, venne rifocillato dagli alpini, che gli diedero un nome e un cognome a ricordo di quel particolare giorno e del loro reparto: Pasqualino Tolmezzo. La sua culla fu una cassetta di munizioni. Il «Tolmezzo» fece rientro a Udine il 2 dicembre 1913, accolto dalla popolazione friulana in tripudio. Il «Giornale di Udine» del 3 dicembre ebbe parole toccanti per questo bimbo che sfilava per le strade della città sul dorso di un mulo. La folla plaudente lo acclamava e lui rispondeva, contento ma serio, portando la mano alla fronte, nel saluto militare. «È un bel bambino completamente nero, è Pasqualino Tolmezzo, un bambino raccolto dopo la battaglia di Assaba e adottato dal battaglione. Il bambino fa il saluto militare e dice qualche parola italiana, tutti lo guardano con simpatia». A spese del battaglione fu mantenuto, educato ed iscritto prima al collegio militare di Napoli e poi all'accademia militare di Modena e alla scuola di applicazione di Parma. Diventò ufficiale del Regio Esercito e morì nel 1936, oggi riposa a Udine. Altri tempi.

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