Camera con rissa

Per la serie «storie di straordinaria follia» è bastato che ieri alla Camera la maggioranza annunciasse di voler accelerare i tempi sul processo breve che l'emicliclo più «onorevole» d'Italia si è trasformato in un campo di battaglia. Almeno per questa volta non si è arrivati alle mani, ma, a parole, lo scontro si è trasformato in una battaglia senza esclusione di colpi. «Vergogna, vergogna» è stato il coro levatosi dagli scranni del Pd appena il capogruppo Dario Franceschini aveva concluso la sua arringa contro il ministro della Difesa. Non l'avesse mai fatto. Ignazio La Russa non è riuscito a trattenere l'impeto: prima ha portato l'indice verso il naso per farlo stare zitto e poi l'ha mandato platealmente a quel paese. Stessa sorte toccata, poco dopo al presidente della Camera, Gianfranco Fini che, vista la bagarre che si era creata in Aula, aveva invitato il ministro ad «avere un atteggiamento rispettoso verso l'assemblea». E così, mentre il ministro, rivolto a Fini, batteva le mani ironicamente e ripeteva verso lo scranno più alto di Montecitorio il gesto del «silenzio», il leader di Fli, stizzito «tornava a chiedere rispetto per la presidenza». Da quel punto in poi è stato un crescendo di offese tanto che La Russa, sarebbe arrivato a rivolgere a Fini un perentorio «vaffa» (circostanza poi smentita dal ministro). Immediata la replica del presidente che, prima ha sospeso la seduta e poi, uscendo dall'emiciclo, ha esclamato: «fatelo curare».  Tutto questo accadeva mentre un picchetto davanti al portone di Montecitorio protestava contro il processo breve, urlando slogan e insulti contro chiunque uscisse dal Palazzo fosse questo parlamentare o ministro, di centrodestra o centrosinistra. Ma per capire cosa esattamente ha scatenato lo scontro alla Camera bisogna spostare le lancette dell'orologio alle 9 di ieri mattina quando, durante la riunione dell'Ufficio di presidenza, Fini comunicava la sua decisione di far votare l'Aula sul conflitto di attribuzioni contro il Tribunale di Milano sul «caso Ruby» così come richiesto dalla maggioranza. Una decisione che l'organismo presieduto da Fini ha preso con voto pari (9 a 9, Fini non vota e Lombardo dell'Mpa fa sapere di essere malato). Una notizia che avrebbe dovuto rasserenare il clima. E invece no. L'intenzione, ventilata sin da martedì nel centrodestra, di invertire l'ordine del giorno dei lavori, anticipando la trattazione del processo breve rispetto al «caso Ruby» fa esplodere la polemica. L'opposizione parla di «blitz» mentre Pier Ferdinando Casini chiama direttamente in causa il Guardasigilli per il suo «impegno non mantenuto». Una critica che Alfano rispedisce al mittende spiegando che «l'indignazione era comunque programmata». Intanto, alle 15,30, si riuniva la conferenza dei capigruppo fissando per il 5 aprile il voto sul conflitto di attribuzioni. «Comunque in tempo per il 6 aprile», malignano nel Pd: il giorno della prima udienza del processo «Ruby». Fini però cerca lo stesso di mettersi di traverso e, invocando il suo ruolo super partes, raddoppiava i tempi del dibattito garantendo l'esame di un maggior numero di emendamenti. Una decisione che comunque non convince il Pd che anche in quest'occasione si spacca sull'ipotesi di ritirarsi sull'Aventino. Alcuni come Rosy Bindi sono a favore. Altri come Massimo D'Alema dicono no. Quello che è certo è che sarà battaglia dura. E la seconda puntata dello scontro si potrebbe avere già stamattina alle 10 quando l'Aula riprenderà l'esame del provvedimento sul processo breve.