L’Italia convince Tunisi a fermare le partenze

La missione di Maroni e Frattini ha dato i frutti sperati. I due ministri erano partiti ieri mattina per Tunisi con la speranza di concordare con i vertici tunisini un piano per affrontare l'emergenza immigrati e, al termine dell'incontro, la chiave di volta sarebbe stata trovata tanto che il responsabile del Viminale ha così commentato: «Le premesse sono buone - ha spiegato Maroni - ora verificheremo se ci sarà un impegno concreto». Così durante il vertice nel quale i ministri italiani dell'Interno e degli Esteri hanno incontrato il premier tunisino Beji Caid Essebsi ed i colleghi Farhat Rashi (Interno), Mohammed Mouldi Kefi (Esteri) e Abdelhamed Triki (Cooperazione), è stato siglato un negoziato che assicura all'Italia, a fronte di un suo impegno a dare alla Tunisia mezzi di mare e di terra, apparecchiature e fondi per il rilancio dell'economia, l'impegno a bloccare le partenze verso Lampedusa e la promessa di riaccogliere in patria i circa 15 mila tunisini arrivati nell'isola nei primi tre mesi dell'anno. Un blitz che ha suscitato il plauso di Silvio Berlusconi, nonostante sull'accordo siglato aleggi la consapevolezza che, vista la precaria situazione politica della Tunisia dopo la caduta di Ben Ali, gli impegni assunti da Beji Caid Essebsi potrebbero rivelarsi non vincolanti. Toccherà ora, infatti, ad un tavolo tecnico di esperti dei due Paesi mettere nero su bianco le necessità. Un vertice che dovrebbe avvenire a giorni sia per bloccare i barconi che continuano a partire verso Lampedusa sia per riuscire a far fronte, come spiega Maroni, alle «gravi difficoltà che stiamo vivendo per far fronte a questi flussi massicci». E, il ministro Frattini, ha proseguito: «Abbiamo proposto un pacchetto di misure per rilanciare la cooperazione tra i due Paesi, che include linee di credito supplementari fino a 150 milioni di euro, in aggiunta a quelle già in corso pari a quasi a 100 milioni per il sostegno al bilancio dei pagamenti». L'intento è chiaro: incentivare la ripresa economica della Tunisia, in modo che i giovani siano indotti a restare piuttosto che cercare fortuna su barconi diretti verso l'Italia. Nel frattempo a Lampedusa, dove continua l'emergenza sbarchi, i circa cinquemila tunisini ammassati da giorni vicino al porto hanno protestato a più riprese per le condizioni disumane in cui sono costretti a sopravvivere. Affamata e in condizioni igieniche disperate, la metà di loro non ha un tetto sulla testa e dorme per terra sui moli coprendosi con teli di plastica e cartoni. La distribuzione del cibo è lenta e dopo ore di coda si riceve solo un panino e una bottiglia d'acqua. Al momento comunque sull'isola, ha confermato il ministro della Salute Ferruccio Fazio, «non c'è alcun rischio epidemia». Rientrato in Italia il ministro Maroni ha voluto riunire l'Unità di Crisi del Viminale istituita per la gestione dell'emergenza umanitaria. Un incontro che ha immediatamente deciso di varare «un piano di rapido svuotamento di Lampedusa attraverso l'utilizzo di navi passeggeri, la prima delle quali giungerà nell'isola già domani mattina per prelevare i primi 1.000 tunisini, mentre la seconda approderà a Lampedusa martedì» e «la sospensione dei trasferimenti di richiedenti asilo nel Villaggio della Solidarietà di Mineo». In serata poi è stata «confermata la partenza della Nave San Marco della Marina Militare con 550 tunisini», insieme al «trasferimento dei minori presenti a Lampedusa in apposite strutture», a «l'allestimento di un centro di accoglienza e identificazione dei clandestini nel comune di Manduria (Taranto)» ed alla convocazione per giovedì prossimo del tavolo con la Conferenza delle Regioni, Upi ed Anci per il piano di ripartizione dei profughi sul territorio nazionale». Un punto, quest'ultimo, che ha agitato molte amministrazioni comunali le quali sembrano non essere intenzionate ad ospitare gli immigrati.