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Pdl diviso sull'intervento Ma ora la guerra va vinta

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Posizioni divergenti. Il dibattito dentro al Popolo della libertà non si ferma. Da una parte un pezzo di maggioranza che governa e fa volare i caccia bombardieri sopra i cieli libici. Dall'altra il fronte degli anti-interventisti. Le divisioni sul ruolo italiano nella guerra al regime di Muammar Gheddafi restano vive. Anche nel Pdl. Ci pensa Margherita Boniver, inviato speciale del ministro degli Esteri per le emergenze umanitarie, a marcare le differenze. Lo fa durante il convegno dell'associazione Summit di Fiamma Nirenstein che s'interroga sulle posizioni d'Israele di fronte alla rivoluzione dei Paesi musulmani. «Un intervento militare condotto da 4-5 nazioni con il beneplacito "peloso" della Lega araba non è stata una grande idea», dice la Boniver che avrebbe preferito percorrere la via diplomatica fino in fondo. Gli va dietro, mantenendo un profillo più prudente, anche il sottosegretario alla Difesa Guido Crosetto che dopo aver chiarito: «Non siamo in guerra con la Libia ma stiamo attuando una risoluzione Onu», esplicita la sua «preoccupazione per la mancanza di un'idea di percorso». Ma oltre le divisioni, a pochi chilometri dall'Italia, un conflitto è in atto. Dal convegno della Nirenstein s'alza una voce: la guerra in Libia va vinta senza indugi. E bisogna proteggere Israele. In ballo c'è il futuro geopolitico del Mediterraneo. Il direttore di questo giornale Mario Sechi, tra gli oratori del panel, lo spiega a chiare note: «Noi vogliamo che i dittatori cadano. E per evitare che a loro si sostituiscano le forze del male l'Occidente deve esserci. Ecco perché è stato giusto intervenire. Oggi c'è bisogno di una politica neo-coloniale perché non è detto che dalle rivolte arabe nasca la democrazia». Sechi ricorda il passaggio di due navi iraniane, poche settimane fa, nel canale di Suez: «Se non ci muoviamo lo spazio del Mediterraneo se lo prendono Paesi come l'Iran. Quello che succede in Nord Africa ci deve svegliare. Gli Stati Uniti sono una potenza in declino: o l'Europa si muove - spiega Sechi - o perderemo quello che un tempo era il Mare Nostrum». La posizione di Sechi è condivisa dalla padrona di casa: «Sono per l'interventismo - dice Nirenstein, vice presidente della commissione Esteri - e l'Occidente ha fatto bene a farsi vivo. Ci siamo finalmente accorti che la questione del mondo arabo è il mondo arabo». La parlamentare non è però convinta dalle parole di chi, come Crosetto, parlava della prima rivoluzione islamica senza bruciare bandiere israeliane e americane. «In questi mesi a Gheddafi hanno dato dell'ebreo. Ad Abbas dicono che è servo di Israele e il volto di Mubarak viene marchiato in modo dispregiativo con la Stella di David. La teoria della cospirazione ebraica esiste ancora». È per questo che Nirenstein invita tutti i presenti (da Khaled Fouad Allam alla Boniver, dal deputato Gianni Vernetti a Pinhas Inbari, giornalista e analista del think tank israeliano «Jerusalem Center for Pubblic Affairs») a firmare una lettera in cui sarà chiesto a tutti i nuovi gruppi dirigenti arabi che ribaltano i regimi e chiedono la democrazia di rinunciare all'incitamento alla teoria della cospirazione ebraica e israeliana. La lettera sarà divulgata nei prossimi giorni. Ma come vive Israele lo tsunami arabo? Per Yossi Kuperwasser, direttore del ministero degli Affari strategici israeliani, Gerusalemme «è felice di vedere questa ondata di democrazia in Medio Oriente. Sarà più facile trovare la pace se il potere è in mano al popolo. È chiaro che ci sono anche dei rischi, per questo il mondo libero deve impegnarsi e far sì che questo processo porti a una vera democratizzazione». Il messaggio è chiaro: l'Europa e gli Stati Uniti devono restare vigili anche oltre la caduta dei dittatori. Bisogna andare in fondo al problema ed evitare la nascita di nuovi regimi. «C'è bisogno allora di una politica attiva - spiega Gianni Vernetti, ex sottosegretario agli Esteri -. L'Italia oggi deve rovesciare la propria politica estera e rimodellarla sul Mediterraneo. Il nostro sforzo sarà utile a contenere anche il problema iraniano e assicurare maggiore sicurezza a Israele». E se è il futuro del Mare Nostrum, e non solo dei paesi arabi, ad essere in gioco, allora «non possiamo lasciare l'iniziativa alla Francia». La direttrice dei rapporti internazionali dell'Aspen Institute, Marta Dassù, è «preoccupata per il coinvolgimento iperattivo di Parigi che non hai mai saputo interpretare il Medio Oriente». L'Italia deve giocare in prima linea. «Non so quanto tempo ci vorrà per sconfiggere Gheddafi - dice Dassù - ma penso che il raìs non abbia tutta questa forza per continuare a lungo la guerra. Il nostro interesse nazionale è che il regime del colonnello cada il prima possibile». Al di là delle divisioni interne.

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