Cerca
Cerca
Edicola digitale
+

E Bossi fa lo svizzero

Esplora:
Umberto Bossi

  • a
  • a
  • a

Pacifista, neutrale, antimilitarista, non belligerante, in altre parole: svizzero. Umberto Bossi dopo essersi formalmente «dissociato» rispetto all'attacco militare contro la Libia e al ruolo dell'Italia nella missione militare, è tornato a fare della Confederazione Elvetica il modello a cui ispirarsi. «Se io dovessi fare un accordo - aveva spiegato il Senatùr l'altra sera alla sua gente a Erba - non lo farei con i francesi o con gli americani ma con un popolo amico come gli svizzeri, che parlano la nostra lingua». Poche parole che però trasmettono il punto fondamentale della strategia leghista nell'affrontare la delicata questione libica. Così Bossi esalta esalta per l'ennesima volta il modello svizzero che, non solo può vantare una tradizionale neutralità, mantenuta sin dal 1674, ma, ha fatto della difesa del proprio territorio da «intromissioni» esterne un cardine da salvaguardare sopra ogni cosa. E, guarda caso, proprio la politica estera della Lega più volte ribadita anche in manifesti (celeberrimo quello con su scritto «sì alla polenta, no al cous cous») tende a tenere un profilo neutrale sulle questioni che non minaccino direttamente la propria identità territoriale. Ed ecco che basta portare indietro le lancette dell'orologio di qualche decennio per vedere che i leghisti in tema di conflitti hanno sempre avuto una posizione più o meno defilata. Il 18 gennaio 1991, per esempio, il partito annunciò il voto contrario alla proposta del governo sulla partecipazione dell'Italia alla guerra del golfo «perché non si capisce - citava una nota - quale interesse, ideale o reale, l'Italia vada a difendere». Posizioni attendiste furono tenute l'13 gennaio 1993 al Senato dopo le comunicazioni del governo sull'attacco alleato all'Iraq. A prendere la parola fu il leghista Antonio Serena che chiese dettagli più precisi sulla missione prima di comunicare la posizione del partito. Sempre nello stesso anno, e siamo al 13 luglio, la Lega invitò il governo a ritirare il contingente in Somalia. Il 19 giugno 1997 il voto contrario del Carroccio arrivò sulla missione in Albania mentre nel il 13 aprile del 1999 la Lega votò contro al Senato e si astiene alla Camera sull'intervento in Kosovo. Ma è proprio in quell'occasione che il partito nordista ha il suo punto di maggiore esposizione sulla politica estera. Bossi si schierò con Milosevic e contro gli «immigrati» e «straccioni» kosovari. Sulla Padania si inneggiava al «valoroso popolo serbo». Persino la pulizia etnica viene negata (26 marzo, La Padania). Bossi si recò anche a Belgrado per incontrare Milosevic raccogliendo i consensi più vari, inclusi quelli di Rifondazione e dei Comunisti italiani. Surreale, come si diceva, ma la Lega fece il suo gioco smarcandosi da una guerra, combattuta dal governo D'Alema e sostenuta anche dal centrodestra. Nel 2001 la situazione diventò critica in Afganistan. La Lega era al governo e il 9 ottobre avallò l'intervento militare benché non fosse ancora autorizzato dall'Onu così come accadde il 15 aprile del 2003 quando votò a favore della missione umanitaria d'emergenza per l'Iraq. Un impegno militare sul quale però un anno dopo l'allora capogruppo leghista alla Camera, Alessandro Cé, ricordò essere «una missione di pace». Da allora la posizione del Senatùr è rimasta sempre la stessa. Pacifista. Tanto che, ogni qual volta un aereo militare riportava in patria la salma di qualche soldato italiano caduto in missione la frase era sempre la stessa: «Io li porterei tutti a casa». Intanto Bossi, che oggi pomeriggio incontrerà a Milano nella sede della Lega i vertici del partito per analizzare l'evolversi della vicenda libica e valutare se continuare sulla linea della prudenza, continua a guardare alla Svizzera. Un pensiero fisso al Paese d'Oltralpe nella speranza di realizzare quel sogno che aveva raccontato durante un comizio a Brescia il 24 marzo di un anno fa: «Noi una casa e una Nazione l'abbiamo: la Padania. E la nostra grande Padania operosa, fatta di brava gente, di gente che lavora, deve essere come uno dei cantoni svizzeri, perché, dove non c'è una lingua comune, fatalmente, il modello che si deve applicare è quello». Il Pdl però non ha intenzione di stare a guardare e, con una nota di Gasparri, Quagliariello, Cicchitto e Corsaro, richiamano la Lega all'unità ricordando che «l'Italia, sia per la sua tradizione occidentale che per gli impegni internazionali, farà la propria parte fino in fondo». Poi aggiungono: «Chiederemo che gli organismi internazionali e la Comunità Europea si impegnino, con la stessa determinazione con la quale noi assolviamo ai nostri obblighi, a far fronte alle difficoltà che inevitabilmente e sin da queste ore si scaricheranno sull'Italia, come la situazione di Lampedusa attesta».

Dai blog