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Bossi si chiama fuori: "Asteniamoci"

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Umberto Bossi

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L'Umberto è furioso. Sono passate appena poche ore da quando in Libia è scoppiata la guerra e lui si sfoga. Lo fa tra la sua gente a Erba, in provincia di Como. E dal profondo Nord traccia un netto solco tra la sua linea e quella intrapresa dal Governo: «Penso che la posizione più equilibrata sia quella della Germania: era meglio essere più cauti». Poche parole che gli servono però anche a spiegare l'assenza della Lega Nord l'altro ieri in Parlamento. Ma non è finita. Vuole essere incisivo e, per questo, inizia a sparare a zero su tutti. Ricorda che «il Consiglio dei ministri aveva rallentato l'appoggio con una posizione cauta di non partecipazione diretta». Attacca la voglia di protagonismo di qualche suo collega ministro ritenendo che ci sia chi «crede di essere più del premier e parla a vanvera». Alza la voce, sembra tornato il Senatùr di un tempo quando la Lega era un partito di lotta prima che di governo. Con Silvio Berlusconi Bossi riferisce di non aver parlato ieri, ci avrebbe provato invano quando il premier era al vertice di Parigi. Di sicuro però in serata incalza la sua gente: «C'è il rischio che con i bombardamenti perdiamo il petrolio e il gas». E non solo. Eccolo toccare il punto più controverso e che preoccupa maggiormente l'elettorato leghista: gli immigrati. Bossi non ha dubbi: «Con i bombardamenti verranno qui milioni di immigrati. Scappano tutti e vengono qui». Un vantaggio solo per la sinistra, continua il leader del Carroccio, che ora «sarà contenta, perché» quello è «l'unico modo che ha per vincere le elezioni». Ma l'Umberto è ancora più drastico, prima attacca i francesi definendoli «famosi democratici che sono abilissimi a fare i loro interessi, mentre noi siamo abilissimi a prenderla in quel posto» e poi mette in guardia il suo popolo evocando il rischio di infiltrazioni terroristiche in Italia come conseguenza della situazione in Libia: «Io spero che alla fine si trovi un equilibrio per mettere pace in nord Africa anche perché a pagare siamo solo noi come in Afghanistan: siamo lì a fare la guerra con tanti uomini... Poi ci arriva Al-Qaida a casa nostra». Un rischio, quello del terrorismo islamico, che il ministro delle Riforme vede profilarsi dietro la crisi libica e il flusso di immigrati dalla sponda sud del Mediterraneo.

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