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La ricetta di Giorgio: umiltà e unità

Giorgio Napolitano ai festeggiamenti del 150° anniversario dell'Unità d'Italia

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Davanti all'accoglienza di Torino, veramente entusiastica, Giorgio Napolitano si è commosso. L'ha fatto capire nella chiusura dell'appassionato discorso a braccio al Teatro Regio (nel corso del quale ha rimarcato «lo scatto d'orgoglio» del Paese in occasione di questi festeggiamenti) quando la sua voce s'è incrinata mentre declinava la regola aurea che vorrebbe rispettata da tutti: «il senso di umiltà deve guidare chiunque assolve doveri istituzionali». Il richiamo non è nuovo, sulle sue labbra. Mai come oggi ha suscitato tanto consenso nell'uditorio. Il pubblico s'è levato in piedi e ha applaudito a scena aperta, mentre Napolitano lasciava il palco. A Torino l'atmosfera era questa. C'era attesa. C'era voglia di mostrare che questa città, notoriamente fredda, sa volere bene, e vuole bene a «Giorgio». Così, per nome, lo hanno chiamato amichevolmente tanti cittadini, tanti genitori e insegnanti assiepati con i loro bambini dietro le transenne, lungo le vie del centro. C'era anche qualcosa di più: la voglia di far capire che «Giorgio» è considerato un punto di riferimento, come è emerso dalla continua sottolineatura,fatta con gli applausi, dei punti chiave del suo discorso. Era una partigianeria evidente, soprattuto rispetto alla difesa del valore di questa celebrazione fortemente voluta da Napolitano. Perciò quando il governatore leghista del Piemonte, Roberto Cota, ha stigmatizzato «la corsa a dire chi era presente», tentando così di minimizzare l'assenza dei parlamentari leghisti ieri a Montecitorio, dal teatro gremito s'è levato prima un brontolio, poi sono partiti i fischi. È stata una contestazione a denti stretti, trattenuta, e stemperata poi, per non dispiacere «Giorgio», da un tiepido applauso dello stesso pubblico che all'arrivo di Napolitano s'era alzato in piedi e aveva applaudito per tre minuti buoni. Anche a Roma, ieri Napolitano ha mietuto applausi, ma non così esaltanti e coinvolgenti, tanto che a un certo punto, all'entrata dell'Officina Grandi Riparazioni, «Giorgio» s'è fatto dare da un bambino una bandierina tricolore e ha preso a sventolarla felice. Fin qui il clima. Quanto ai contenuti, Napolitano ha sottolineato che nelle celebrazioni di questi giorni ha visto «scattare», come sperava «un sentimento e una consapevolezza nazionale», «una carica di sincerità e di passione civile che coinvolge tutti anche i piccolissimi». Ha riconosciuto il «merito» di Torino e di Roma per aver creduto dall'inizio nel 150.mo. Ha detto che Torino non è stata solo la prima capitale d'Italia, ma la culla del movimento unitario, la base che ha assicurato «una guida saggia», ha offerto con Cavour il più grande statista del nostro paese, e con Vittorio Emanuele II «una delle figure fondamentali del nuovo Stato unitario». E poi Torino ha realizzato «una straordinaria fusione di italiani del Nord e del Sud». Napolitano ha ribadito, con le parole di Cavour, che non si può concepire l'Italia senza Roma capitale. Affermazione poco gradita ai leghisti, ai quali invece è piaciuta la forte riaffermazione che lo sviluppo dello Stato in senso autonomistico e federalista è una naturale evoluzione della Costituzione del 1948. Costituzione, ha aggiunto, che può certamente essere riformata quando è necessario per affrontare problemi nuovi che emergono. Ma sopra ogni cosa, ha detto, ci vuole più coesione e consapevolezza nazionale, e anche legittimo orgoglio per quel nostro «patrimonio storico e ideale che si è lasciato deperire, che è stato un pò rimosso». Lo ha detto citando il messaggio di Barack Obama che proprio a quel nostro patrimonio ha fatto riferimento quale valore che ha ispirato il suo grande paese. Alb. Spa.

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