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Dalle ceneri del credito pubblico un motore di sviluppo per i territori

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135)gli autori Fabio Corsico e Paolo Messa analizzano storia e prospettive delle fondazioni bancarie italiane. Organismi nati nel 1990 dalle ceneri delle banche pubbliche con la riforma di Giuliano Amato e presto diventate esperimento di “privato sociale”. Ecco alcuni brani del volume. di FABIO CORSICO e PAOLO MESSA L'interesse per le fondazioni di origine bancaria (di seguito definite per brevità «fondazioni») è cresciuto negli ultimi anni in modo esponenziale. La ragione è facile da comprendere. La crisi economica e finanziaria che ha sconvolto il mondo, o almeno la sua parte occidentale, ha rivelato la fragilità del sistema bancario e con essa la sua centralità nei «sistemi paese». L'attenzione verso gli istituti di credito è quindi accresciuta e ha travalicato il perimetro angusto degli addetti ai lavori. È in questo contesto che l'opinione pubblica italiana ha potuto scoprire l'esistenza di un soggetto – le fondazioni, per l'appunto – che costituisce la spina dorsale delle proprie banche. Che, va ricordato, nonostante tutte le difficoltà pur registrate, hanno saputo resistere alla crisi molto più degli istituti di altri paesi (soprattutto anglosassoni). La specificità italiana sta anche nella particolarità delle fondazioni, che sono un oggetto molto meno misterioso di come può apparire. Anzi, queste istituzioni, come vedremo, affondano le proprie radici in una storia importante e sono parte del nostro patrimonio culturale. Diventano tuttavia strumento di modernizzazione del sistema bancario italiano grazie a un processo normativo che parte nel 1990 e che non si è ancora fermato definitivamente. Di seguito proveremo quindi a raccontare come nascono le fondazioni e come si trasformano in quel che oggi sono: il cuore della nostra economia. (....)Dopo vent'anni dalla loro istituzione, le fondazioni bancarie hanno occupato uno spazio centrale nel dibattito politico ed economico. L'attenzione crescente dei media è comprensibile: in un sistema bancocentrico come il nostro, conoscere meglio chi partecipa o spesso governa quelle istituzioni è persino indispensabile. Le scosse nella governance dei principali istituti di credito italiani hanno finito per alimentare anche l'interesse dei partiti e degli amministratori locali. Naturale quindi che la discussione si presenti vivace. Qui si intende discutere di alcune questioni di fondo che riguardano le prospettive delle fondazioni e la loro regolamentazione. L'interesse nazionale. Il rapporto tra fondazioni e territorio è stato più volte segnalato. Esso è un elemento costitutivo e identitario di ciascun ente. Tuttavia questo non ha impedito alle fondazioni di ritagliarsi un ruolo fondamentale nella politica economica nazionale. Come, sia pure sommariamente, ogni soggetto nato dalla legge Amato vent'anni fa ha, nel tempo e con modalità distinte, diversificato i propri investimenti fra istituti bancari e partecipazioni in attività e progetti «locali». Questo non ha impedito alle fondazioni di fare una scelta strategica: essere socie dello stato italiano e del suo Ministero dell'economia e delle finanze in Cassa depositi e prestiti. Di questa partecipazione abbiamo fornito già i dati «tecnici». Ciò che qui conta però è il valore politico e istituzionale di una presenza il cui significato attiene all'idea di interesse nazionale in economia. La Cassa depositi e prestiti è infatti lo strumento più evoluto dal punto di vista finanziario e operativo attraverso il quale il pubblico (insieme a soggetti privati quali le fondazioni) interviene sul mercato: occupandosi del risparmio postale e non solo. Cassa depositi e prestiti è una sorta di «fondo dei fondi» capace di garantire, per esempio, gli investimenti nelle nostre infrastrutture. Se oggi si parla di «reti» e di «modello Terna» è proprio perché Cdp ha potuto garantire lo scorporo della rete elettrica da Enel senza correre il rischio che finisse sotto il controllo di paesi stranieri. Cosa analoga – pur con molte differenze – è avvenuta nel caso di alcuni gasdotti che erano dell'Eni. Allo stesso modo, e sulla scorta di questi precedenti, non c'è chi manca di im maginare un investimento sulla rete telefonica e su quella ferroviaria. Cdp, così come le fondazioni, non è un bancomat e non ha risorse illimitate e le opzioni citate scontano le naturali e comprensibili ritrosie degli attuali proprietari (Telecom Italia e Ferrovie dello Stato). Se si tratta di ipotesi di fanta-economia si vedrà in seguito. Intanto l'interesse di Cdp per le infrastrutture va intensificandosi. Non più solo con il fondo per le infrastrutture e la partecipazione in F2i ma anche con interventi diretti come quello per la Pedemontana. Tutto questo, unitamente ai progetti per l'housing sociale o per il sostegno alle pmi, fa delle fondazioni il principale partner strategico dello stato. In questo contesto, vale la pena esprimere con chiarezza un'avvertenza. Laddove Cdp interviene per finanziare e realizzare opere infrastrutturali o per acquisire reti strategiche, nulla da obiettare. Se però Cassa depositi e prestiti cede alla tentazione di trasformarsi in un mezzo per ripubblicizzare ciò che con fatica, e non senza contraddizioni, era stato privatizzato, allora la valutazione può essere critica. In ogni caso, e indipendentemente dalle scelte che autonomamente Cdp deciderà di fare, la vocazione delle fondazioni nei confronti dell'interesse nazionale non potrà non rafforzarsi. Ovviamente allo Stato toccherà il compito, non banale, di regolare i mercati in modo che venga garantita un'equa remunerazione degli investimenti.

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