Levate il referendum a Tonino

In Giappone si combatte per riportare sotto controllo la centrale di Fukushima. In Germania Angela Merkel annuncia la sospensione per almeno tre mesi di 17 vecchi impianti, per due dei quali, i più anziani, è probabile lo stop. Svizzera e Belgio propongono riflessioni sulla sicurezza dei loro 12 reattori. Non tentenna invece la Francia, il paese più nuclearista del mondo in rapporto a popolazione e consumi: ma Nicolas Sarkozy promette che farà revisionare una ad una le sue 58 centrali attive che garantiscono l’85 per cento del fabbisogno energetico, e mantiene il programma di costruirne altre tre di nuova generazione. Sarkò si è rivolto direttamente ai francesi dichiarando che esse sono «le più avanzate e sicure, e necessarie al benessere, allo sviluppo e all’indipendenza energetica». Sulla stessa linea Vladimir Putin. Stessa cosa, sempre che non cambi idea, Barack Obama: «Il nucleare era e rimane una componente del nostro piano energetico» dice la Casa Bianca, confermando 33 nuove centrali.   La Merkel, pur tra le cautele anche elettorali – si vota nei land e la Cdu è già andata incontro a molte sconfitte - continua a considerare il nucleare attuale «una soluzione ponte verso le centrali atomiche future e verso una sviluppo compatibile delle energie rinnovabili». In concreto, si tratta della tecnologia di quarta generazione, a fissione o fusione, che dovrebbe consentire impianti più compatti e senza rilascio di radioattività, e soprattutto eliminare le scorie. Quanto alle energie rinnovabili, la Germania, come l’Italia, è alle prese con la questione dei costi in rapporto ai benefici. E, come l’Italia, ha deciso di ridurre gli incentivi pubblici a pioggia. L’Unione europea vuol sottoporre a stress test le sue 197 centrali, 12 delle quali a ridosso del confine italiano ed a poco più di 200 chilometri in linea d’aria da Milano e Torino. Non sappiamo se si possano davvero effettuare i test sugli impianti atomici come si è fatto per le banche. Soprattutto auguriamoci che diano risultati diversi. Comunque in tutto il mondo si discute di nucleare, e ci mancherebbe: secondo il World Energy Outlook 2010 a cura dell’Agenzia internazionale per l’energia, nei prossimi 25 anni la domanda mondiale da tutte le fonti energetiche aumenterà del 36 per cento, e la quota dell’atomo passerà dal 6 per cento attuale all’8, con un incremento dunque di un terzo. I motivi sono evidenti: la crescita dei paesi emergenti e dei giganti già emersi, Cina e India in testa; la riduzione delle scorte di petrolio; infine la tuttora bassa economicità delle energie rinnovabili, che se rappresentano il futuro richiederanno però ancora a lungo massicci incentivi pubblici. Del resto attualmente il nucleare copre il 35 per cento dei consumi in Europa, il 20 per cento negli Usa e fino a ieri circa il 30 in Giappone. In definitiva, il nucleare subirà un rallentamento, ma poi ripartirà. Come dopo Chernobyl, questa pausa servirà per un tagliando generale sulla sicurezza, sui costi, sulle alternative. E sull’informazione. Tutto ciò richiede l’intervento credibile dei leader e delle organizzazioni mondiali. Come ha scritto ieri sul Sole-24 Ore Alberto Alesina, docente alla Harvard University del Massachusetts, «sull’atomo è sempre bene usare il cervello. Le decisioni non vanno prese sull’onda delle immagini dolorose degli sfollati giapponesi, né sotto la pressione di questa o quella lobby». Ma in Italia il dibattito a chi è in mano? Ad Antonio Di Pietro, al quale si è aggregato Adriano Celentano con un’intera pagina del Corriere della Sera. Il motivo è semplice: Di Pietro e compagni hanno da tempo lanciato un referendum fissato il 12 e 13 giugno. I quesiti riguardano il nucleare, la privatizzazione della distribuzione dell’acqua e il legittimo impedimento. La seconda e terza questione sono superate dai fatti e dalla Corte costituzionale. Resta appunto il nucleare; e Di Pietro & Celentano, cui si aggiungono Beppe Grillo e l’estrema sinistra, e che trascineranno anche Bersani e il Pd, sono convinti che Fukushima darà una bella mano a raggiungere il quorum, e quindi a vincere. Come nel 1987 dopo Chernobyl, dunque, l’Italia sarebbe l’unico paese al mondo a decidere il proprio futuro energetico senza un briciolo di riflessione, e soprattutto di informazione. Come allora, butteremo a mare decenni di ricerca e di cervelli appena faticosamente recuperati, che se ne tornerebbero di nuovo all’estero, sacrificati stavolta alla demagogia pop.   Ma il governo che fa? Fermo inizialmente sulla altrettanto improbabile trincea del «non cambia nulla», ha ora annunciato che costruirà le centrali dove le regioni saranno d’accordo, e che metterà al primo posto «la salute». Non basta, e non ci siamo. Non bastano le dichiarazioni nei talk show; non ci siamo con questa linea minimalista. Il governo deve innanzi tutto parlare alla gente, e lo deve fare ai massimi livelli: possibilmente con il capo del governo – come Obama, Merkel, Putin e Sarkozy - e con l’aiuto di autorità e scienziati fuori dalla mischia politica. Deve dire perché le centrali che si intendono costruire in Italia sono diverse e più sicure di quella di 40 anni fa in Giappone. Visto che poi non ci sono solo terremoti e tsunami, ma anche crisi in Libia e Golfo Persico, deve poi ridefinire un piano energetico spiegando ai cittadini disponibilità e costi da qui al futuro delle varie fonti. A cominciare dalle energie verdi, che certamente rappresentano l’obiettivo, ma per le quali occorre spiegare dettagliatamente quanto gravano in bolletta e a beneficio di chi.   Infine, visto che il piano nucleare italiano è già in ritardo di un anno, alcuni mesi in più per una seria riflessione accompagnata da un’altrettanto seria informazione, non cambieranno certo la storia. L’occasione c’è, e viene dal rallentamento in atto ovunque. Siamo sempre alla ricerca di qualche paravento europeo dietro al quale far passare leggi e leggine. Una volta tanto utilizziamolo per una vera priorità nazionale, e per dare a questo dibattito la dignità che merita sottraendolo a Di Pietro, Celentano e Beppe Grillo.