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Leghisti da legare

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Il segretario della Lega Nord Umberto Bossi

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È ufficiale. Sui festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia la Lega ha deciso di mettersi di traverso moltiplicando quegli episodi di «guerriglia» simbolica contro una festa che non intende rispettare. E, così, dopo il caso della Regione Lombardia e dell'Emilia Romagna dove i consiglieri del Carroccio hanno abbandonato l'Aula per non ascoltare l'Inno nazionale e l'annunciata «gazebata» milanese nella quale il partito del Nord regalerà le bandierine raffiguranti la croce di San Giorgio al posto di quelle tricolori, i parlamentari fedelissimi dell'Umberto si preparano a servire lo schiaffo più umiliante al Belpaese annunciando che non assisteranno al discorso celebrativo a Camere riunite del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Un affronto avallato dal silenzio di Umberto Bossi e dei vertici del partito che ieri hanno preferito non imporre la linea lasciando «libertà di coscienza» ai propri parlamentari. Una decisione inevitabile per il Senatùr schiacciato da una parte dall'impegno preso con Napolitano di non rovinare i festeggiamenti per il centocinquantenario e dall'altra dalla foga degli elettori del Nord che vorrebbe vedere la Lega tornare ad essere quel partito di lotta «secessionista». Il Carroccio torna così allo schema del movimento politico dai due volti. Guastafeste da una parte, istituzionale dall'altra. Una dicotomia che evidenzia la strategia politica del Carroccio: mostrarsi intransigenti sull'Unità nei territori del Nord dove si concentrano i propri voti e rispettosi nei confronti delle istituzioni a Roma dove oggi Bossi, Calderoli e Maroni saranno comunque in Aula a Montecitorio per non mancare di rispetto al capo di Stato. I ministri così salvano le apparenze, mentre i parlamentari se ne vanno confortati dalle dure parole dei loro capigruppo. Il primo a tuonare è Federico Bricolo che spiega la propria assenza e quella dei 26 senatori del partito perché l'impegno della Lega è prima di tutto fare «le riforme per cambiare finalmente questo Paese». Poi tocca al collega della Camera, Marco Reguzzoni che polemizza giustificando la propria assenza come conseguenza della chiusura degli asili: «Non ci sarò perché starò con i miei figli». E chiude il viceministro Castelli: «Loro stanno qui seduti a festeggiare, io sto in piedi in Padania a lavorare e a produrre Pil». Defilati invece Calderoli e Maroni che hanno evitato di commentare la posizione della Lega a proposito dei festeggiamenti dell'Unità d'Italia. Il primo, avvicinato alla buvette, ha accampato la scusa che stava mangiando e che non poteva rispondere, mentre il ministro dell'Interno Maroni sbottava: «Lasciatemi in pace!». Alla fine di una giornata di tensioni e di insulti reciproci è proprio Berlusconi a dover scendere in campo chiamato in causa soprattutto dal Pd, con Bersani e D'Alema, che chiedono l'allontanamento del Carroccio dal governo: «Abbiamo previsto - si legge in un messaggio pubblicato sul sito del governo - delle iniziative che consentiranno di dare valore anche alle differenze e far sì che ogni frammento dell'universo italiano trovi il modo di valorizzare sé stesso»

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