Premonizioni sulla giustizia
Messo un po' alle strette dalle sollecitazioni che gli vengono anche dall'interno del suo partito, e non solo da Pier Ferdinando Casini, a non opporre chiusure pregiudiziali alla riforma della giustizia che il governo ha deciso di proporre al Parlamento, il segretario del Pd sembra tentato da qualche argomento diverso dai soliti allarmi preventivi per la sorte dell'indipendenza della magistratura. O dalle solite proteste perché a promuovere la riforma è un presidente del Consiglio sotto processo. Sentite che cosa ha scoperto Pier Luigi Bersani, peraltro ripetendo cose dette dallo stesso Casini. La riforma avrebbe il torto di viaggiare sul treno di una legge costituzionale che ne rimanda l'attuazione ad una serie di leggi ordinarie, dieci o undici, sostanzialmente più importanti o decisive delle modifiche agli articoli della Costituzione riguardanti la magistratura. Facciamo un po' di conti. I tempi di una riforma costituzionale sono lunghi, dovendo essa superare quattro passaggi parlamentari, due volte alla Camera e due volte al Senato, o viceversa, con un intervallo di almeno tre mesi tra una deliberazione e l'altra di Montecitorio e di Palazzo Madama. Poi, nel caso non improbabile di un'approvazione, nella seconda votazione di ciascuna Camera, con la sola maggioranza assoluta dei voti, cioè con la maggioranza più uno dei componenti di ciascuna assemblea, e non con quella dei due terzi, la riforma potrà essere solo pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale ma non promulgata. Bisognerà permettere a un quinto di ciascuna Camera o a cinque Consigli regionali o a cinquecentomila elettori di chiedere entro tre mesi un referendum. In questo caso, non certamente difficile, si dovrà aspettare la verifica referendaria. La promulgazione sarà possibile solo se la riforma avrà raccolto la maggioranza dei voti validi degli elettori, come prescrive l'articolo 138 della Costituzione. Tutto questo significa, conteggiando anche le ferie ed altre pause fisiologiche dei lavori parlamentari, che nella migliore delle ipotesi il governo riuscirà a portare a casa solo la riforma nei circa due anni rimanenti di questa già troppo tormentata e difficile legislatura, in cui il rischio delle elezioni anticipate è già stato corso una volta e non è detto che possa ripresentarsi. Le leggi ordinarie di attuazione della riforma, in caso di una sua conferma referendaria, potranno essere promosse solo da un altro governo in un'altra legislatura, la prossima. Ebbene, di che cosa hanno paura Bersani e gli altri oppositori che accusano Berlusconi di avere predisposto una riforma costituzionale troppo all'ingrosso, lasciando il dettaglio a successivi interventi legislativi di carattere ordinario, adottabili nelle aule parlamentari a maggioranza semplice, a maggioranza cioè dei presenti alla votazione, e non dei componenti di ciascuna Camera? Hanno paura evidentemente di ritrovarsi fra i piedi dopo le elezioni un altro governo di Silvio Berlusconi, o analogo, se il Cavaliere dovesse decidere o accettare di mettere in pista la prossima volta un altro candidato a Palazzo Chigi riservando per sé un altro ruolo nella maggioranza. Se Bersani e compagni, o amici, fossero veramente sicuri, come dicono nelle piazze, della fine politica del Cavaliere e della loro vittoria elettorale, non avrebbero nulla da temere dalle leggi ordinarie di attuazione della riforma costituzionale della giustizia. Potrebbero anzi adottarne di adatte a svuotarla. O no? Quello che quindi manca a lor signori è la certezza, che invece ostentano, di vincere.