La riforma del Pd la scrivono i pm
Quando si parla di riformare la giustizia il Pd è sempre un po' in imbarazzo, stretto tra la necessità di non offrire sponde all'«imputato» Silvio Berlusconi e la consapevolezza che il sistema, così com'è, ha diverse storture da correggere. In questi giorni in molti hanno corteggiato Pier Luigi Bersani e il suo partito chiedendogli di prendere posizione sulla proposta avanzata dalla maggioranza. Così ieri i Democratici hanno deciso di uscire dall'angolo diramando un comunicato che contiene la loro «proposta» di riforma. Nulla di nuovo. Il programma, infatti, è lo stesso messo a punto in occasione dell'Assemblea Nazionale del maggio 2010 e anticipato, con un articolo pubblicato sul Foglio, dal responsabile giustizia del partito Andrea Orlando. Ed è lo stesso deputato, intervistato dal sito di Libertà e Giustizia (l'associazione presieduta da Sandra Bonsanti che ha portato un tredicenne sul palco del PalaSharp di Milano e ha lanciato l'appello «La riforma della giustizia non la fanno gli imputati») a spiegare il senso delle proposte: «Risalgono a maggio, niente di nuovo. Solo che improvvisamente tutti chiedono quale sia la nostra idea». E la domanda nasce spontanea: qual è questa idea? Il Pd la sintetizza in uno slogan: «Il programma fondamentale per la Giustizia si chiama Costituzione repubblicana». «È la differenza sostanziale con quella proposta dal governo - spiega Orlando -. La nostra parte dalla funzionalità del servizio, l'altra è una riforma della magistratura. Per attuare la nostra non occorre intervenire sulla Carta». Si parte quindi con la «giustizia civile» il cui cattivo funzionamento è la «vera e propria ipoteca sulla competitività», si passa alla riorganizzazione degli uffici giudiziari e della loro distribuzione sul territorio, fino ad arrivare alla situazione «drammatica» delle carceri. Esaurita la parte delle «emergenze», si può continuare con «i tempi del processo penale e le garanzie»: semplificazione del regime delle notifiche, semplificazione del sistema delle nullità processuali, modificazione del regime della contumacia, riordino della disciplina dell'udienza preliminare, rivisitazione del sistema della impugnazioni, riduzione del carico di lavoro che grava sugli uffici inquirenti e, dulcis in fundo, obbligatorietà dell'azione penale. Ed è qui che Orlando svela il vero ghost writer della riforma targata Pd. I Democratici propongono infatti che a stabilire le priorità sia «un gruppo di soggetti qualificati sul territorio». «Proponiamo un modello partecipato - prosegue il deputato -. Stabilisce cioè priorità, in funzione di un'organizzazione degli uffici, dopo aver ascoltato enti locali, prefettura e questura. La scelta di indirizzo viene comunicata al Csm che la valuta e solo dopo il via libera diventa operativa. È il modello sperimentato a Torino con la circolare Maddalena. Un'idea che nasce da una proposta di Magistratura democratica». Il che non significa che si tratti di una pessima idea, ma di certo suona come una conferma del fatto che la corrente di sinistra delle toghe e il Pd lavorano d'amore e d'accordo. Forse per questo nell'ultima parte del programma, quella che riguarda «l'indipendenza ed organizzazione dell'ordine giudiziario» i Democratici bocciano l'idea di un doppio Csm puntando tutto sul rafforzamento della sezione disciplinare. Nello stesso tempo bisogna cambiare il «sistema elettorale» del Consiglio superiore per «attenuare l'influenza delle correnti». Attenuare, appunto, non eliminare.