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Il gip archivia e salva Fini

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Gianfranco Fini

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La casa di Montecarlo finisce sotto terra. Il caso è chiuso e le carte verranno spedite in archivio. Sulle posizioni del presidente della Camera Gianfranco Fini e dell'allora tesoriere di An, Francesco Pontone, non si devono più svolgere ulteriori indagini. È quanto ha deciso ieri il presidente dei gip della Capitale, Carlo Figliolia, che ha archiviato il procedimento penale aperto dopo la denuncia presentata da La Destra per far luce sulla vendita dell'immobile ereditato da Alleanza Nazionale dalla contessa Anna Maria Colleoni nel 1999. Il giudice ha spiegato in due pagine di motivazioni che non si può procedere penalmente nei confronti di Fini e Pontone, indagati per truffa, perché «gli accertamenti richiesti non permetterebbero di acquisire alcun concreto elemento ai fini della configurazione del reato». Ma non finisce qui. Per il gip, infatti, chi ha chiesto alla magistratura di far luce su questa vicenda, può comunque rivolgersi al Tribunale civile. «Gli odierni opponenti sono da ritenersi non persone offese - scrive il gip Figliolia - ma eventualmente danneggiate dal comportamento degli indagati, in conseguenza del valore incongruo attribuito all'immobile alienato, così da determinare loro un danno patrimoniale, da rivendicarsi, in ipotesi, nella competente sede civile». La casa in Boulevard Princesse Charlotte è stata infatti venduta per 300 mila euro, un valore considerato decisamente inferiore rispetto a quello di mercato. Proprio per questo il consigliere regionale del Lazio Roberto Buonasorte e l'avvocato Marco Di Andrea, si erano rivolti alla procura di Roma. Lo scorso ottobre le autorità di Montecarlo avevano definito congruo il valore (l'equivalente di circa 240 mila euro in franchi francesi) che fu dato all'appartamento di Boulevard Princesse Charlotte 14 da An quando fu certificato il passaggio del bene che fu donato dalla contessa Colleoni. L'informazione era pervenuta alla procura di Roma che nella seconda rogatoria aveva sollecitato l'integrazione di una serie di documenti per individuare l'esatto valore da attribuire all'immobile monegasco e capire poi se la vendita, avvenuta intorno ai 300 mila euro nel 2008, avesse danneggiato qualcuno. La casa è stata abitata da Giancarlo Tulliani, «cognato» del presidente della Camera Gianfranco Fini. «Dalle indagini svolte e dalla documentazione acquisita è emerso che nel comportamento degli imputati non sono configurabili gli estremi del reato indicato in rubrica in quanto, per la natura stessa dell'ente, associazione non riconosciuta (partito politico) e per le prerogative di coloro che hanno agito, non si è verificata quella falsa rappresentazione della realtà necessaria per la integrazione del reato - ha scritto il gip nel provvedimento d'archiviazione - si tratta di disposizione patrimoniale decisa e attuata dal presidente e amministratore di una associazione non riconosciuta, unitamente al suo segretario amministrativo quale rappresentante della stessa e pertanto autorizzato a disporre del suo patrimonio». Non è stato commesso, dunque, alcun raggiro o artificio nella cessione a una società off-shore dell'appartamento a Montecarlo. «Sono molto soddisfatto della decisione del presidente Carlo Figliolia, sapevo di avere il diritto dalla nostra parte, ma l'alea che caratterizza le cause è sempre presente quindi quando si ottiene un provvedimento favorevole non c'è che da rallegrarsene», ha detto l'avvocato Giuseppe Consolo, che insieme con Francesco Compagna, ha assistito il presidente della Camera, Gianfranco Fini. «Dal 14 marzo si stabilisce che non è reato vendere sottocosto il bene di un'associazione che si presiede, qual è un partito - ha detto Francesco Storace, segretario nazionale de La Destra - si stabilisce che è normale che un partito venda a società off-shore un bene che possiede frutto di una donazione. Si stabilisce che è inutile frignare se quel bene, donato per "la buona battaglia" finisce nella disponibilità del cognato di chi guida il partito. Ovviamente non ci fermiamo. C'è la Cassazione, c'è la sede civile, molte sono le sedi giurisdizionali dove far valere le ragioni di una comunità che non si arrende».

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