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L'Angelino custode alla prova del nove

Il ministro Alfano

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Quando nel 2008 cominciò a circolare il suo nome come ministro della Giustizia diversi giornali scrissero di un certo malumore del Colle. Il Capo dello Stato, dicevano, pensava che quel trentasettenne avvocato siciliano, nonostante la laurea in Giurisprudenza accompagnata da un dottorato di ricerca in diritto dell'impresa, fosse troppo «inesperto» per gestire un settore così delicato. E che con il ritorno di Silvio Berlusconi al governo sarebbe sicuramente diventato terreno di scontro. Chissà se a distanza di tre anni, mentre esponeva al Guardasigilli le sue «considerazioni di carattere generale» sul testo della riforma, Giorgio Napolitano ha ripensato a quel periodo. Di certo c'è che Angelino Alfano ha dimostrato in questi anni di essere tutt'altro che «inesperto». Il testo approvato ieri è il frutto di un lavoro meticoloso. Il ministro è ripartito dalla bozza Boato messa a punto dalla Bicamerale e su quella ha cercato di costruire una riforma che raccogliesse il massimo del consenso possibile. Dicono che anche nei momenti di scontro politico più violento non abbia mai smesso di lavorare con la presidentessa della commissione Giustizia Giulia Bongiorno e di dialogare con l'Udc. E che un raffreddamento ci sia stato solo quando i deputati centristi eletti in Sicilia, guidati da Saverio Romano, sono passati nelle file della maggioranza. Il «regista» dell'operazione sarebbe stato proprio Alfano e Pier Ferdinando Casini non avrebbe gradito. Ma il Guardasigilli è uomo che conosce bene l'arte della politica e della mediazione. Proprio per questo Napolitano gli ha chiesto di cercare in ogni modo il dialogo con il Pd e c'è da giurare che il ministro lo farà. La sua storia dimostra che quando c'è da perseguire un obiettivo Angelino non è di quelli che si tira indietro. Nato nel 1970 ad Agrigento, figlio d'arte (il padre è stato vicesindaco Dc della città), ha mosso i primi passi nel movimento giovanile della Democrazia cristiana di cui è stato anche segretario provinciale. Poi la rapida ascesa. Nel 1996 è il più giovane parlamentare eletto all'Assemblea regionale, nel 2000 è capogruppo di Forza Italia, nel 2001 è deputato. Nel frattempo Gianfranco Micciché lo ha presentato a Silvio Berlusconi che se ne è «innamorato» al punto di volerlo con sé a Palazzo Grazioli. Alfano cresce «all'ombra» del Cav, entra in rotta di collisione con Micciché succedendogli come coordinatore di Forza Italia in Sicilia. Ufficialmente non ha una propria «corrente», ma diventa comunque punto di riferimento per tantissimi parlamentari (attorno a lui, ad esempio, cresce il gruppo dei cosiddetti quarantenni di Fi). Affabile e mai sopra le righe si libera dal «peccato originale» di essere siciliano quando va in televisione ad urlare che la «mafia fa schifo!» incarnando in sé, spiega, il grido di una generazione che ha visto alle elementari il delitto di Piersanti Mattarella, alle medie quello di Carlo Alberto Dalla Chiesa, all'Università quelli di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Quindi l'approdo a via Arenula. Il suo primo intervento ufficiale lo svolge alla commemorazione di Falcone, il suo primo atto da ministro è la firma di 11 decreti riguardanti il 41bis (il carcere duro per i mafiosi). Nel mezzo va a prendersi gli applausi del congresso dell'Anm con cui dice di voler avviare un dialogo costruttivo. Ora ha davanti a sé la prova del nove per dimostrare che non mentiva. E forse per far vedere anche al Capo dello Stato che «l'inesperto» Alfano, il «delfino» del Cavaliere, è pronto a prendere in mano le redini del centrodestra.

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