Una rivoluzione necessaria
Lasciamo stare Berlusconi. E lasciamo stare il solito giochino degli antiberlusconiani in servizio permanente effettivo mobilitati alla ricerca, nelle pieghe di un testo che neppure conoscono, di trucchi e codicilli scritti ad personam per liberare il Cavaliere dai guai giudiziari. Lasciamola stare questa ricerca ossessiva. Che è, poi, niente altro che un modo per liquidare ogni tentativo di affrontare un problema, quello della riforma della giustizia, non più rinviabile. Conta, ormai, il fatto che il governo sia fermamente deciso ad andare avanti sulle linee del progetto illustrato ieri dal guardasigilli al Presidente della Repubblica e in via di approvazione oggi in sede di Consiglio dei Ministri. Un progetto che potrà essere, magari, migliorato ma che, almeno in alcuni punti chiave - separazione delle carriere di giudici e pubblici ministeri, sdoppiamento del Consiglio Superiore della Magistratura e riconoscimento del principio della responsabilità civile dei magistrati - non dovrà essere snaturato. Conta, insomma, il fatto che, finalmente, in qualche modo, il governo abbia deciso di affondare il bisturi nel bubbone giustizia. Sì, perché, per dire le cose come stanno, sia lo squilibrio dei poteri dello Stato a favore del giudiziario sia l'amministrazione della giustizia - per colpa di un pugno di magistrati politicizzati o, nella migliore delle ipotesi, ammalati di protagonismo e alla ricerca di spicciola popolarità - hanno determinato, nel nostro paese, una situazione gravissima. L'uso politico della giustizia, per utilizzare la locuzione con la quale Fabrizio Cicchitto ha intitolato un suo documentato e coraggioso libro, ha creato una vera e propria emergenza democratica. La spregiudicatezza con la quale vengono utilizzati, da qualche magistrato impegnato, strumenti di indagine e la leggerezza con la quale vengono diffusi dati riservati e ininfluenti ai fini delle indagini lasciano non soltanto esterefatti ma anche seriamente preoccupati sulla salute dello Stato di diritto e sulla fine delle garanzie dei più elementari diritti di riservatezza. Un esempio solo. Un esempio che dimostra, complice certa stampa, il livello di aberrazione cui si è giunti. È quello della diffusione e pubblicazione, nel quadro di servizi giornalistici sull'indagine della procura milanese a carico del presidente del Consiglio per il cosiddetto caso Ruby, non soltanto del numero di un conto corrente personale presso un istituto bancario ma anche di movimenti che nulla hanno a che fare con l'inchiesta. Come, per esempio, le donazioni per il restauro di una parrocchia o la regalia a una squadra di calcio o, anche, gli accrediti versati a titolo di diritto d'autore dalla Siae a un Berlusconi chansonnier. Il fatto è di una gravità inaudita. Se è possibile andare curiosare, sindacare e mettere in piazza quanto e come - dei propri soldi - un individuo spende per arredare una o più stanza o per sistemare delle piante in giardino, allora si è passato davvero il segno. Altro che società democratica e liberale! Siamo in pieno regime poliziesco. Un regime di orwelliana memoria, dove ogni passo, ogni atto, ogni pensiero è controllato. La riforma della giustizia - in una situazione del genere e ben al di là di ogni considerazione personale sul caso Berlusconi - è una priorità assoluta. Riguarda il problema della necessità di riequilibrare i poteri dello Stato, attraverso il ristabilimento di pesi e contrappesi costituzionali, per evitare che il potere giudiziario, ormai preponderante sugli altri per loro debolezza o latitanza, diventi un potere assoluto esercitato attraverso la minaccia o il ricatto di una inchiesta più o meno fondata nei confronti di chi è percepito come avversario. Riguarda, in altre parole, l'urgenza di garantire il recupero delle condizioni necessarie per il corretto funzionamento di un vero Stato di diritto, fondato sulla separazione dei poteri. Soltanto così potrà essere evitato la "magistratocrazia" ovvero un "governo dei giudici" instaurato gradualmente attraverso una surrettizia e continua appropriazione di spazi di potere, quasi un "colpo di Stato" silenzioso, strisciante, disteso nel tempo ed effettuato attraverso una progressiva erosione dei diritti individuali. Allo stato attuale - tramontata, per il momento, la prospettiva di elezioni politiche anticipate - sembra che le condizioni per portare avanti, senza indugi e con energia, la riforma della giustizia ci siano. Ed è giusto che queste condizioni siano sfruttate al meglio. Ma è bene che il governo, e per esso Berlusconi, non dimentichi che - per quanto necessaria, prioritaria e imprescindibile - la riforma della giustizia è soltanto una di quelle riforme che i cittadini si aspettano dal governo di centro-destra e che andrebbe inserita in un più generale discorso di ammodernamento dell'intero edificio istituzionale e di riduzione del costo della politica.