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"Stavolta non ci fermeranno"

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Il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto

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«La riforma della Giustizia non è ancora arrivata in porto perché in questi anni all'interno della maggioranza prima l'Udc e poi Fini hanno bloccato elementi importanti». Lo dice il capogruppo Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto ottimista sulla possibilità di portare a casa comunque il risultato di un cambiamento delle norme che regolano l'organizzazione giudiziaria. «Con l'uscita di Fini dal Pdl, e la maggiore omogenizzazione delle forze che sostengono il governo, può essere la volta buona» aggiunge Cicchitto. E il traguardo è ancora più vicino visto che la riforma «epocale» della giustizia ha incassato il via libera della Lega. «Ci sarà il nostro appoggio» ha annunciato il leader del Carroccio, Umberto Bossi. Si tratta di un terreno minato da più di 15 anni. È così certo della vittoria? «I tempi sono maturi perché il dato vero è che, dal 1991 in Italia, siamo in una fase nella quale con caratteristiche diverse la giustizia è stata utilizzata a fini politici». Cosa è cambiato in questi anni? «Nel 1992 la magistratura si è rivolta principalmente contro cinque formazioni politiche salvaguardando la sopravvivenza dell'ex Partito Comunista. Dal '94 in poi la stessa operazione è stata fatta con Silvio Berlusconi. Il retroterra culturale della richiesta di riforma è dunque politico». Questo spiega anche lo scontro tra le diverse forze politiche sul tema. «Esatto. Il terreno nel quale si gioca il futuro della riforma non è neutro ma appunto politico. Ed è questo che ha finora condotto a uno scontro così duro». Il disegno di legge andrà in porto questa volta? «Le condizioni ci sono. L'uscita di Gianfranco Fini dalla maggioranza ha reso quest'ultima più omogenea sul tema». Avrete bisogno anche di un sostanziale appoggio dell'opposizione. «Se non ci sarà un'ampia convergenza andremo al referendum costituzionale». Pensate di trovare sostegno nei banchi della minoranza? «Per ora non capisco l'atteggiamento dell'onorevole Casini. Quanto al Pd ci sono indubbiamente parti alleate con una certa magistratura che non vogliono che la politica metta le mani sulle regole della giustizia. È un settore dell'opposizione che sostiene il partito dei giudici e difficilmente sarà a favore della nostra proposta. Ci sono anche voci a favore ma per ora sono elementi singoli come il senatore Morando e la senatrice Chiaromonte. Il complesso del Pd sta allo stato purtroppo su tutt'altre posizioni». Quali sono le norme più importanti nel testo che la maggioranza ha predisposto? «Lo sdoppiamento delle carriere e dei Csm. E dall'altra parte un parziale recupero dell'autonomia da parte degli organi di polizia». L'accusa più ricorrente verso la riforma è che serva a salvare Berlusconi dai suoi guai giudiziari. Cose risponde? «Le vicende giudiziarie di Berlusconi non sono personali ma sono il risvolto dell'anomalia italiana che si chiama uso politico della giustizia». Non sarà che la tesi del complotto e della persecuzione paga sempre nei confronti dell'opinione pubblica? «Non è esatto. La persecuzione giudiziaria nei confronti di Berlusconi è nei fatti. L'attacco è stato scientifico. Prima ci hanno provato con la corruzione, poi con le inchieste di mafia e le bombe. Non hanno ottenuto nessun risultato così lo hanno attaccato sulla vita privata. Quest'ultimo aspetto non veniva toccato in Italia dal caso Montesi. E anche questo dà l'idea che le stanno provando tutte». L'anomalia italiana: l'uso politico della giustizia ha una motivazione. Una ragione che possa spiegarla? «Le ragioni sono molteplici. Come il fatto che l'Italia ospitasse il più grande Pci dell'Occidente che non è diventato dopo il muro un vero partito socialdemocratico. Ma anche il fatto che all'interno della magistratura ci sia una componente con forte politicizzazione come Magistratura Democratica che ritiene il diritto lo strumento per la trasformazione rivoluzionaria del sistema».

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