Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Indecisi a tutto

Esplora:
Il leghista Roberto Maroni

  • a
  • a
  • a

È una brutta sorpresa. Il leghista del Viminale e il leninista tutto d'un pezzo sono decisamente, serenamente, inequivocabilmente d'accordo su un punto: non fare nulla. Il ministro Roberto Maroni ha paura che, in caso di un intervento militare internazionale, la Libia si trasformi in un nuovo Afghanistan, in questo smentito perfino dal suo «collega» alla Difesa Ignazio La Russa. Il leader del Pcdi e portavoce della Federazione della Sinistra Oliviero Diliberto sventola la bandiera arcobaleno con fede granitica e intima: «L'Italia deve stare fuori dalla guerra in Libia. Nessun coinvolgimento del nostro Paese in nessun tipo di intervento militare, palese o mascherato», e niente basi. Un inedito connubio che forse è frutto di idee poco chiare. Di una politica all'insegna del traccheggio, influenzata da un'inspiegabile «ma-anchismo» estraneo al Centrodestra, dal tipicamente italico «armiamoci e partite» che sta caratterizzando il nostro atteggiamento nei confronti della tragedia libica. È comprensibile che ci preoccupi l'eventuale ondata biblica di immigrati paventata più volte dal ministro dell'Interno (seppure smentita dalle organizzazioni internazionali, come quella che si occupa di immigrazione, l'Oim). Però, mentre voi leggete queste righe, in Libia muoiono centinaia di civili. E qualcosa bisogna fare. Nel frattempo un terzo ministro, il responsabile della Farnesina, che qualche giorno fa escludeva «categoricamente» un intervento militare tricolore, ora sembra cominciare a cedere, preferendo dichiarazioni meno trancianti: È «assai difficile», spiega Franco Frattini, pensare all'ipotesi di aerei italiani coinvolti in Libia, ma «la nostra lealtà euroatlantica ci fa dire che le basi militari, il supporto logistico non potremmo negarlo». Quello dell'invasione di massa è uno spettro che Maroni ha agitato anche ieri. «L'Europa è già invasa, in un mese sono arrivati ottomila clandestini, più di tutto il 2010».  Per questo il ministro invoca un'azione diplomatica «forte» dell'Ue, «per esempio nei confronti della Tunisia, per fermare questa emorragia di sbarchi» che il «governo e le forze di sicurezza tunisine non riescono a bloccare». In merito all'ipotesi di una partecipazione italiana a un contingente Onu o comunque all'invio di una forza internazionale, Maroni ribadisce (dopo l'invito agli Usa a «darsi una calmata») che sarebbe «un errore molto grave», perché la Libia «potrebbe trasformarsi in un nuovo Afghanistan o in una nuova Somalia. Prima di cominciare a bombardare, prima che i guerrafondai abbiano il sopravvento, occorre sviluppare una politica di aiuti: il Piano Marshall citato da Berlusconi». A contraddirlo è il responsabile del dicastero della Difesa: «La Libia non sarà un nuovo Afghanistan. Capisco che cosa intende il ministro Maroni, ma le due situazioni non sono comparabili», osserva Ignazio La Russa. Che prosegue: «La parola spetta agli organismi internazionali: si possono mettere in campo tutte le operazioni diplomatiche che si vogliono, ma non tocca a un solo Paese intervenire e men che meno all'Italia. Noi possiamo svolgere un'azione di moral suasion per cercare di imporre il rispetto dei diritti umani». Consapevole, probabilmente, che una dissuasione morale può poco per fermare le bombe del raìs che colpiscono la popolazione, Frattini non nega la possibilità di offrire almeno le nostre basi nell'eventualità che l'Onu decida di istituire una no-fly zone» nei cieli libici, ammette che siamo di fronte a una «guerra civile» e rivela che Palazzo Chigi sta cercando contatti con gli oppositori del Colonnello. «La prima cosa da fare con nervi saldi è essere consapevoli che questa tragedia davanti a noi non possiamo fermarla domani, se non facendo la guerra - sottolinea - E la guerra non è un videogioco, la guerra è una cosa seria. La no-fly zone vuol dire che ci sono aerei che sorvolano impedendo ad altri aerei di alzarsi in volo e se gli aerei si alzano in volo bisogna sparare. La disponibilità delle basi - conclude Frattini - l'Italia l'ha già confermata, l'ho detto in varie occasioni, con la condizione che ci sia un quadro di legittimità internazionale, una risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu su cui i Paesi membri stanno già lavorando, e una decisione della Nato». Insomma, se da un lato il titolare degli Interni teme che l'invio di jet Nato possa rappresentare un grosso rischio per il Belpaese, quello degli Esteri è già pronto a fornire ai caccia le nostre piste di decollo. Come al solito, siamo indecisi a tutto.

Dai blog