Il regime all'Onu: ritirate le sanzioni
Inuna lettera firmata del ministro degli Esteri della Libia, Musa Mohammad Kusa, e indirizzata all'ambasciatore cinese Li Baodong, il cui Paese detiene la presidenza mensile a rotazione, si dice che il governo libico «si rammarica» per la decisione unanime del Consiglio di imporre l'embargo delle armi contro il Paese, il congelamento dei beni e il divieto di viaggiare per Gheddafi e la sua famiglia. Secondo quanto riportato nella lettera, il voto del 26 febbraio è stato preso «prematuramente per condannare e penalizzare la Jamahiriya araba libica quando la situazione non richiede un intervento» secondo la carta delle Nazioni unite. E continua, dicendo che la forza è stata usata solo contro «i trasgressori che hanno incluso elementi estremisti» intraprendendo «atti di distruzione e terrorismo». Le autorità libiche chiedono nella stessa lettera, datata 2 marzo firmata da Musa Mohammed Kousa, il responsabile del Comitato popolare per le relazioni esterne (ministero degli esteri), distribuita ai 15 paesi del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di adottare un atteggiamento di fermezza nei confronti degli «Stati che stanno minacciando di ricorrere alla forza nel paese». «Tale azione - si legge nella missiva - contrasterebbe con la Carta delle Nazioni Unite e le norme del diritto internazionale sulla sovranità di uno stato ed il non intervento negli affari interni di quello stesso stato o sulla violazione della sua sicurezza ed integrità territoriale». Nella lettera si chiede inoltre che le sanzioni approvate dall'esecutivo Onu «vengano sospese in attesa che si accerti la verità» su quanto accaduto. In un'intervista rilasciata alla Tv serba «Pink», Muammar Gheddafi aveva affermato che la risoluzione «non ha alcun valore». In una seconda intervista concessa il giorno successivo a Tripoli alla Abc, alla Bbc e al Sunday Times, Gheddafi aveva invitato l'Onu ed altre organizzazioni internazionali ad effettuare una missione in Libia per chiarire la situazione.