È Tremonti il «boia» del Pd
Ilcentrodestra è vivo e vegeto, in Parlamento e nel Paese. E potrebbe diventare ancora più forte e pericoloso per una sinistra che, accecata dall'antiberlusconismo, non riesce a vedere ciò che le capita attorno, e l'abisso nel quale potrebbe sprofondare. A lanciare un grido di allarme in questa direzione è stato nel Pd, con un articolo significativamente ospitato l'altro ieri dal Foglio di Giulianone Ferrara, il senatore Enrico Morando. Il quale non si è lasciato evidentemente incantare dal trionfalismo del segretario Pier Luigi Bersani per le dieci milioni di firme appena raccolte o annunciate contro il Cavaliere. Che sono più o meno taroccate come «gli otto milioni di baionette ben affilate e impugnate da giovani intrepidi e forti» che Benito Mussolini annunciò il 24 ottobre 1936 alle camicie nere radunate a Bologna. È sempre meglio andar piano con i numeri. Quando si esagera, si sprofonda prima nel ridicolo e poi nella tragedia. Ma torniamo a Morando. Egli ha accusato Bersani, per via della sua ossessiva ricerca di una «grande alleanza» contro il Cavaliere, estesa da Gianfranco Fini a Nichi Vendola passando per Pier Ferdinando Casini, di «esporre il Pd a un rischio grande: ritrovarsi tra un anno, con la scadenza elettorale imminente, privo di una proposta politica credibile, a fronte di un centrodestra ristrutturato o per iniziativa dello stesso Berlusconi, o per l'emergere di una nuova leadership». Che potrebbe essere - ha spiegato Morando - quella di Giulio Tremonti, in grado di provocare anche «il ritorno a pieno titolo dell'Udc nella coalizione, col pieno consenso della Lega, garante lo stesso Tremonti». In questo caso il Pd di Bersani, e del suo fantomatico «progetto per l'Italia», di cui è certo «solo il nome», come sfotteva ieri in prima pagina un giornale non certamente sospettabile di berlusconismo quale Il Fatto quotidiano, «verrebbe letteralmente messo fuori gioco», ancor più - dico io - di quanto già non sia adesso. È lo stesso Morando infatti a ricordare a Bersani, sondaggi alla mano, che la sua proposta di grande alleanza si è rivelata «già oggi poco utile per conquistare i molti elettori delusi da Berlusconi». Pertanto occorre «operare non una correzione, ma una vera e propria svolta», in mancanza della quale «la strategia alternativa», che sarebbe poi riconducibile alla famosa «vocazione maggioritaria» predicata da Walter Veltroni, «dovrà organizzarsi in vista di un appuntamento congressuale che comunque ci sarà prima delle elezioni politiche», non più prevedibili ormai in questa primavera. Allora il Pd - ha scritto Morando - sarà chiamato a «definire visione, programma e leadership coi quali andare al confronto col centrodestra». Se non è un benservito a Bersani poco ci manca. A furia di sognarne la caduta, egli non si è accorto di avere sorpassato Berlusconi nella corsa al capolinea.