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I dubbi di Berlusconi: Speriamo ne valga la pena

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Silvio Berlusconi

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Succede ogni volta. Dall'Afghanistan arriva la più brutta delle notizie, l'ennesima, e i dubbi ritornano. Il dibattito ricomincia. Il «tormento» di Silvio Berlusconi sull'opportunità di proseguire la missione, la fermezza di Frattini e La Russa, l'attacco - puntualmente fuoriluogo - di Antonio Di Pietro al governo, a cui arriva ad addossare la «responsabilità» dei morti. Poi, ovviamente, c'è il cordoglio unanime dei partiti e la «profonda commozione» espressa dal capo dello Stato Giorgio Napolitano. Il governo, come puntualizzano in giornata sia il ministro della Difesa La Russa che il titolare della Farnesina Frattini, sa benissimo che la missione tricolore deve continuare. Ma fanno discutere comunque le parole del presidente del Consiglio, che in mattinata viene raggiunto dalla notizia della morte di Ranzani a Palazzo Reale a Milano: «È un tormento, un calvario e tutte le volte ci si chiede se questo sacrificio che impegna il Parlamento con voto unanime e tutto il popolo italiano ad essere lì, in un Paese ancora medioevale, sia uno sforzo che andrà in porto», ammette il Cav, che comunque aggiunge subito di essere consapevole della necessità di «andare avanti». Lo sfogo del premier intercetta i dubbi di un'opinione pubblica sempre più perplessa rispetto alla missione in Afghanistan, e anche lo scetticismo - mai nascosto - dell'alleato leghista. Ma lo sforzo italiano, ricordano Frattini e La Russa, è saldamente inquadrato nell'impegno della comunità internazionale (Onu e Nato) con la quale sono stati presi «impegni» che non si possono disattendere. È in questo senso che il titolare della Difesa premette di «inchinarsi alla memoria di questo ragazzo» ma chiarisce che «la linea non cambia: La missione continuerà e il governo non hai mai preso in considerazione l'idea di un ritiro unilaterale». L'exit strategy disegnata dall'Alleanza Atlantica solo poche settimane fa a Lisbona allunga l'orizzonte fino al 2014 e l'Italia, che pure potrebbe essere tra le prime a restituire la sua provincia di competenza, quella di Herat, agli afghani, non può tirarsi indietro ora. Nel clima di cordoglio unanime dei partiti per la morte dell'alpino che rientrava da un'operazione umanitaria irrompe però l'attacco di Di Pietro al governo e a tutti coloro che hanno votato il decreto di rifinanziamento della missione, Pd compreso: «La responsabilità politica di queste morti - denuncia il leader dell'Italia dei Valori - ricade sul governo e su tutti coloro che in Parlamento hanno votato per il proseguimento della missione. Ricordiamo che è stato un voto trasversale e, proprio per questo, ancora più inaccettabile». Qualche dubbio emerge anche dal Partito Democratico. Se Enrico Letta esorta infatti le istituzioni a stoppare le polemiche e stringersi unite attorno alle forze armate, il senatore Ignazio Marino chiede di esaminare in Parlamento «l'opportunità di ritirare le truppe» e la presidente del partito, Rosy Bindi, invita ad «approfondire le strategie politiche e diplomatiche» per rendere «più incisivo e credibile il processo di pacificazione in Afghanistan». Sulla stessa linea di Di Pietro invece la sinistra extra parlamentare. Il segretario di Rifondazione comunista, Paolo Ferrero, invoca il ritiro delle truppe e attacca «l'ipocrisia» del governo che «piange morti di cui è responsabile». E anche il leader di Sel, Nichi Vendola, si chiede che senso abbia rimanere ancora.

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